Perché la grande industria in Germania tifa Merz


Nessuno lo dice apertamente, ma il mondo imprenditoriale tedesco la sua preferenza sul prossimo cancelliere ce l’ha: Friedrich Merz. L’articolo di Pierluigi Mennitti.

Nessuno lo dice apertamente, ma il mondo imprenditoriale tedesco la sua preferenza sul prossimo cancelliere ce l’ha. E sarebbe stato sorprendente se la maggior parte delle aspettative non fosse andata al candidato cristiano-democratico, quel Friedrich Merz che negli anni della sua assenza dalla politica è stato impegnato nel mondo degli affari in un consorzio come Blackrock. Quello che spaventa i movimenti (specie giovanili) di sinistra – lobbismo, frequentazione dei salotti del grande capitale – è per gli imprenditori garanzia di competenza economica e rapporti ad alto livello.

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Pur se diplomaticamente coperti (gli imprenditori sanno di dover collaborare con qualsiasi governo e non amano esporsi politicamente), le preferenze vanno a Merz. Anche perché i suoi concorrenti diretti dei partiti tradizionali sono Olaf Scholz e Robert Habeck, il cancelliere e il ministro dell’Economia uscenti, esponenti cui gli industriali imputano parte delle responsabilità della crisi economica attuale.

Chiara (ed anche pubblicamente espressa) è l’ostilità verso qualsiasi integrazione dei partiti estremisti, sia del movimento di sinistra di Sahra Wagenknecht (che galleggia attorno alla soglia di sbarramento del 5%), sia soprattutto dei nazionalisti di AfD, cui invece i sondaggi accreditano – decimale più, decimale meno – il 20%. Qui si è insinuata una piccola spaccatura fra gli stessi industriali. Secondo un recente sondaggio di Handelsblatt, infatti, addirittura il 22% dei manager delle medie e piccole imprese (il famoso Mittelstand) guarda con simpatia il partito di estrema destra; ma fra i grandi gruppi industriali vige un rifiuto assoluto. Un paio di settimane fa, nomi del calibro di Roland Busch di Siemens, Christian Sewing di Deutsche Bank e Ola Källenius di Mercedes, hanno lanciato un vibrante appello contro la xenofobia e l’estremismo, sottolineando l’importanza di difendere i valori democratici e la diversità. Per l’economia, l’immagine di una Germania xenofoba e nazionalista è veleno, tanto più che le imprese hanno bisogno di manodopera qualificata straniera. Ma in questo caso contano anche i principi: la democrazia e la crescita economica sono interdipendenti, hanno scritto i dirigenti dei grandi gruppi, che appena un anno fa hanno dato vita all’iniziativa “Sosteniamo i valori”, appoggiata da oltre 40 aziende, tra cui molte del Dax. L’invito ai partiti democratici è a trattare fra di loro, escludendo ogni ipotesi di accordo con AfD.

Una posizione condivisa anche dal mondo finanziario. In report pre-elettorale pubblicato da Deutsche Bank l’ipotesi (considerata comunque praticamente impossibile) di una partecipazione di AfD al governo viene considerata come “rischio assoluto”.

Speranze e realismo agitano gli imprenditori. Per la grande maggioranza di loro il governo dei sogni vedrebbe i liberali dell’Fdp come partner ideale di un governo a due guidato da Cdu-Csu. Ma i liberali sono stati finora in tutti i sondaggi costantemente sotto la soglia del 5% e rischiano di non entrare neppure in parlamento. Così gli occhi sono rivolti ai partiti di centro-sinistra: i socialdemocratici, potenziali alleati dei conservatori in una riedizione della Grosse Koalition (sarebbe la quarta in sei governi) o i Verdi, in un’inedita (a livello federale) alleanza nero-verde. C’è un altro incubo, minore rispetto a quello di un governo con i nazionalisti, per che questo sì si fa sempre più minaccioso: il bisogno per Merz di imbarcare tutti e due questi partiti. Un nuovo governo tripartito che non partirebbe certo sotto i migliori auspici dopo l’esperienza fallimentare dell’esecutivo semaforo. Per i cultori della simbologia politica tedesca, si chiamerebbe governo Kenia, dai colori dei tre partiti uguali a quelli della bandiera keniana.

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Sempre il report di Deusche Bank si sofferma sugli scenari possibili, puntando innanzitutto il dito sul dato più atteso che uscirà dal voto: il risultato dei partiti più piccoli, Bsw, Linke e Fdp. Dipenderà dalla loro capacità di superare la soglia di sbarramento, e quindi di conquistare seggi parlamentari togliendoli ai partiti più grandi, la suddivisione totale dei parlamentari e quindi il fatto che possa risultare matematicamente impossibile un governo a due. Il mondo economico teme questo scenario. Gli analisti della Deutsche Bank ritengono che, nel caso di trattative a tre, i negoziati per la coalizione potrebbero richiedere diverse settimane, con compromessi difficili. Per il momento, lo scenario più plausibile disegnato dalla banca tedesca è quello di una “grande coalizione” a due, con Cdu/Csu a braccetto con Spd, opzione ritenuta più solida per garantire stabilità. Ma non si escludono soluzioni a tre, come appunto la Kenya (Cdu/Csu-Spd-Verdi) o anche una Germania (con i liberali al posto dei Verdi, qualora l’Fdp dovesse superare il 5%). Ma il rischio paventato è di una litigiosità che potrebbe vanificare ambizioni e riforme. A meno che Cdu/Csu non ottenga un risultato talmente superiore a quello dei suoi potenziali futuri partner da poter di fatto imporre i propri programmi politici.

Che al mondo economico, in generale, piacciono. I capi d’azienda chiedono la riduzione della burocrazia e meno regolamentazione, tesi presenti nel programma elettorale di Merz. Secondo Deutsche Bank, un governo guidato da Cdu/Csu potrebbe perseguire tagli alle imposte sulle società e riduzioni dei prezzi dell’energia, mentre è improbabile una riforma pensionistica di rilievo. Gli analisti concludono prevedendo una crescita del Pil dello 0,5% nel 2025, con un potenziale di espansione più forte nel 2026 se aumenteranno gli investimenti finanziati dal debito. Senza tali riforme, la Germania rischia una stagnazione strutturale.



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