Premio Cat – Targa Cinepop, quest’anno vince la recensione di “Tick, Tick… Boom!” – Liberta.it


Garfield regala agli spettatori la prova di maggior spessore della sua carriera. Un ticchettio incalzante, un metronomo impazzito, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Questo è ciò che si genera nella vita di un aspirante autore di musical a New York nel 1990, dopo che ha trascorso quasi un decennio a perfezionare la partitura della sua più maestosa creatura. Un interludio creativo fatto di perseveranza e sacrifici, un intervallo esistenziale necessario a riempire il pentagramma di un sogno. Ora il tempo a disposizione sta per scadere, perché il trentesimo compleanno è alle porte: è l’ultima occasione per dimostrare a sé stesso di non aver sprecato troppi anni a bramare un tesoro irraggiungibile. Ma manca ancora una canzone, il tassello definitivo per completare la sinfonia euforica di un capolavoro.
Lin-Manuel Miranda decide così di esordire dietro la macchina da presa, catapultandoci nella vibrante storia di Jonathan Larson, in quello che diviene un duetto trasognante tra due dei più grandi autori di musical di questo millennio. Con grande umiltà, Miranda mette la sua cifra stilistica al servizio del predecessore, adattando congiuntamente le due versioni teatrali del racconto autobiografico dello stesso Larson. Il montaggio sinuoso e fraseggiante alterna con assoluta maestria la narrazione monologica del protagonista con la vivida ricostruzione degli eventi, in un flusso di commistione perpetua delle arti. La drammaturgia e le composizioni di Larson esaltate dai contrappunti della sapiente regia di Miranda, il teatro e la musica che si fondono armoniosamente nella melodia cinematografica.
Non un semplice omaggio, né tantomeno un biopic, ma la messa in scena di una complessità esistenziale. Il soffio vitale di un viscerale ricercatore del sublime che si scontra con le paure e gli ostacoli di una società sempre più distante dalla sua anima poetica. La scelta di un uomo di rinnegare la disillusione e di continuare imperterrito a inseguire l’espressione inventiva, con il rischio conseguente di ridurre i comprimari della propria vita ad un misero coro di accompagnamento dissolvente. La riproposizione di un vissuto, in cui una sorta di catarsi felliniana incontra la pittoresca vivacità di Bob Fosse, restituendo la rielaborazione terapeutica che Larson compie per catturare le proprie emozioni. La finzione scenica molto più profonda e reale della verità stessa.
Un risultato che deve molto alla mastodontica interpretazione di Andrew Garfield, capace di inondare lo schermo con la prova di maggior spessore della sua carriera, ondeggiando senza alcun manierismo tra le frenetiche ambizioni e le intime insicurezze di un cantore postmoderno. Una spettacolare prova individuale che si mescola perfettamente nell’orchestra polifonica di voci che ruotano intorno al protagonista, in modo da ritrarre anche l’esperienza collettiva di un’intera generazione dispersa nella patria dell’infelicità. Questo perché la New York degli anni Novanta non è un banale sfondo scenografico, ma un vero e proprio personaggio pulsante.

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La consegna della targa Cinepop alla serata tv per i premi Cat

La capitale del genocidio onirico, l’esacerbazione della patina capitalista che affossa la creatività e piega i suoi abitanti alla viltà del dio denaro. Persino Broadway, anelito ancestrale dei visionari teatranti, rimane sotterrata nel cimitero dei paradisi perduti dalla lapide consumista. Ecco allora che il sogno americano mostra tutta la sua condizione illusoria, ormai trasformato nella flebile speranza che l’America stessa non finisca per distruggere i desideri delle sue fragili creature.
E alla fine l’esplosione arriva. Quel ticchettio forsennato conclude un conto alla rovescia che sembrava destinato alla fatale deflagrazione. Ma non è così. Perché l’arte, quella più sincera e passionale, è ignifuga e indistruttibile. L’ideale supremo del tutto, la magnificenza dell’essenza umana, che trova nella storia di Jonathan Larson, così come lui ha voluto che venisse raccontata, un’enorme cassa di risonanza. Il canto immortale di un idealista bohémien, uno specchio confortante per i pochi sognatori rimasti.

di Simone Loi, Università degli Studi di Milano laureato in Giurisprudenza

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La motivazione della giuria Premio Cat: La scrittura appare calzante, dinamica, vivace, ed è raggiunto l’equilibrio tra forma e contenuto. Inoltre, si percepiscono competenza, cinefilia e passione da parte dell’autore, grazie alle quali la recensione amplia l’universo di senso dell’opera che tratta.





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