Anna Fasano, presidente di Banca Etica (*)
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Mentre le donne rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale, costituiscono una quota molto più piccola di imprenditori. Tale quota è particolarmente bassa nell’Unione Europea, rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito. A dirlo è uno studio diffuso dalla Banca europea per gli investimenti che indaga il supporto finanziario alle imprese femminili e le caratteristiche e performance di queste ultime. E se questa discrasia originale si traduce, secondo diverse indagini, in una perdita plurimiliardaria per i mercati finanziari, l’esperienza diretta di Banca Etica ci dice anche altro, che non solo non ha plausibili ragioni economiche a giustificarla, ma nega, alle comunità, un patrimonio potenziale di impatti ESG positivi e, alle donne, un diritto.
Banca Etica ha maturato infatti un’esperienza ormai significativa sul valore della diversità nella leadership e sull’impatto positivo delle imprese femminili nella governance sostenibile e nella gestione patrimoniale. Nel 2023 abbiamo finanziato 292 imprese femminili con 38 milioni di euro di nuovi impieghi, dimostrando che la finanza etica può essere un motore concreto di cambiamento nel superare il gender finance gap. Oltre il 36% delle società di persone e quasi il 40% delle grandi imprese che finanziamo sono guidate da donne, e osserviamo che queste realtà tendono ad adottare pratiche più attente alla sostenibilità ambientale, alla qualità del lavoro e alla gestione responsabile delle risorse. Questo approccio si traduce spesso in una maggiore resilienza finanziaria e in una gestione più solida delle sfide di mercato.
Per quanto riguarda il rischio di credito, i dati confermano che le imprese femminili non presentano un tasso di sofferenze bancarie superiore alla media delle altre imprese. Sebbene i dati sugli NPL specifici delle imprese femminili siano ancora parziali, possiamo affermare con certezza che queste aziende non sono più rischiose da finanziare rispetto alle altre. Questo smentisce un pregiudizio ancora diffuso e dimostra come il sostegno alle imprese femminili non sia solo una questione di equità, ma anche un investimento solido e responsabile.
Non solo. La nostra esperienza dimostra che le imprese guidate da donne generano ritorni sociali elevati e misurabili, soprattutto in termini di inclusione, sostenibilità e governance responsabile. Parliamo di un dato molto concreto: il 28% delle imprese femminili finanziate da Banca Etica nel 2023 ha utilizzato il credito per creare nuovi posti di lavoro, generando 384 occupati, con una particolare attenzione all’inserimento di persone in condizioni di svantaggio. Questo riflette una tendenza più ampia: le imprese guidate da donne sono sei volte più propense ad assumere altre donne, contribuendo a ridurre le disparità di genere nel mondo del lavoro. Le imprese femminili si distinguono anche per una maggiore sensibilità ai temi della sostenibilità e della governance. Nel nostro portafoglio, molte imprese guidate da donne sono attive nell’economia circolare, nell’agricoltura biologica e nella riduzione delle emissioni di CO₂. E questo è confermato a livello europeo: le imprese femminili ottengono punteggi ESG più alti e sono più propense a introdurre pratiche di sostenibilità.
Ma allora – e torniamo al principio – perché le imprese femminili sono una categoria sottorappresentata?
Forse una delle ragioni è il pregiudizio che si traduce in condizioni di partenza non paritarie, a cominciare dal fatto che le donne imprenditrici scontano ostacoli significativi nell’accesso ai finanziamenti. A livello globale, le imprese fondate da donne ricevono meno della metà dei finanziamenti rispetto a quelle fondate da uomini, pur generando il doppio del fatturato per ogni euro investito. In Europa, solo il 30% del capitale di investimento è destinato alle imprese femminili, e nelle fasi iniziali questa quota può scendere al 2%. Banca Etica cerca di contribuire a colmare questo divario attraverso strumenti dedicati: nel 2022 ha lanciato un prestito obbligazionario per l’imprenditoria femminile da 15 milioni di euro e oggi il 26% dei nostri finanziamenti va a imprese femminili.
Sappiamo tuttavia che c’è ancora molto lavoro da fare. Innanzitutto riducendo il divario sfavorevole rispetto agli uomini in termini di alfabetizzazione finanziaria (dati OCSE), soprattutto nella conoscenza dei concetti base, e avendo ben chiaro che investire nelle imprese femminili non è solo una questione di giustizia sociale, ma una scelta strategica per costruire un’economia più forte, più equa e più sostenibile. I dati parlano chiaro, del resto: se il gender finance gap fosse colmato, l’impatto economico globale sarebbe di 5-6 trilioni di dollari. Questo dimostra che sostenere le donne imprenditrici non è solo un dovere etico, ma una straordinaria opportunità di sviluppo per tutte e tutti.
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(*) dall’intervento come ospite al Forum 2025 del Gruppo Bei (Banca europea per gli investimenti) al panel Gender-lens investing. Beyond the Business Case – Lussemburgo, 5 marzo 2025
Foto di Luca Gallo e comunicazione BEI
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