«Taipei ci ha rubato il mercato dei chip»


Mentre l’economia e il mercato del lavoro danno i primi segni di cedimento, Donald Trump torna nello Studio Ovale e cerca di tranquillizzare gli investitori. Poi parte all’attacco di Taiwan tornando sulla sua idea di riportare la produzione di chip negli Stati Uniti. E cancella o si appresta a cancellare circa 400 milioni di dollari in sovvenzioni e contratti federali destinati alla Columbia University. «Le università devono rispettare tutte le leggi federali contro la discriminazione», ha annunciato la ministra dell’Istruzione Linda McMahon. L’ateneo è finito sotto esame per la presunta mancata protezione dei suoi studenti ebrei.

«Abbiamo progressivamente perso il mercato dei chip, e ora la produzione è quasi interamente concentrata a Taiwan. Ce l’hanno rubato, ce l’hanno portata via», ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, aggiungendo: «Una volta controllavamo il mercato dei chip, ma ora è tutto a Taiwan, quasi in via esclusiva con una presenza minima in Corea del Sud, ma principalmente a Taiwan».

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GLI INCENTIVI
Trump però vuole riportare la produzione in America usando una strategia diversa rispetto al Chips and Science Act, la legge firmata da Biden nel 2022 per incentivare la produzione negli Stati Uniti. «Si tratta di una enorme perdita di denaro», spiegando che invece attraverso i dazi le aziende inizieranno a produrre negli Stati Uniti senza la necessità di dare loro incentivi. Le imprese straniere, a cui ha ribadito di non avere dato «neppure un centesimo», starebbero tornando ad investire in Usa «perché sapevano che sarei arrivato io e che sono un presidente pro-business». Trump ha appena firmato un accordo per la produzione di chip negli Stati Uniti da parte di Taiwan Semiconductor Manufacturing, con un investimento da 100 miliardi di dollari, che tuttavia si aggiunge ai 65 miliardi già investiti negli anni scontri dallo stesso gruppo taiwanese in Arizona.

Ma in tutto questo il presidente americano ha anche pressioni su due altri fronti: da una parte l’Europa, che dopo le minacce delle scorse settimane si sta rafforzando. Le borse stanno soffrendo ma l’euro ha chiuso la migliore settimana in 16 anni e i leader europei stanno cercando di trovare unità per rispondere insieme alle possibili tariffe di Trump. Il secondo fronte è quello con il Canada, che non ha alcuna intenzione di cedere alle minacce del presidente americano. Intanto lui gioca ancora una volta a creare confusione: potrebbe infatti imporre dazi del 25% sul legname e sui prodotti caseari, due settori molto importanti per le esportazioni canadesi verso gli Usa. Questo dopo che giovedì aveva deciso di posticipare al 2 aprile l’entrata in vigore dei dazi su tutti i prodotti in ingresso dal Canada.

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Tornando ai mercati il messaggio del presidente è negare le evidenze che tutti gli indicatori economici stanno dando da giorni: l’instabilità creata dall’indecisione sui dazi e della politica internazionale aggressiva e allo stesso tempo poco prevedibile non fanno bene alla crescita degli Stati Uniti. Nonostante la borsa crolli e ha chiuso una delle peggiori settimane degli ultimi due anni, Trump continua a sostenere che ci sia spazio per la «nuova età dell’oro» e che il rapporto sul lavoro di febbraio «siamo andato bene», nonostante siano stati aggiunti 151.000 posti, contro le attese degli analisti di 170.000.

LA TENDENZA
«Non solo abbiamo arrestato il declino della produzione manifatturiera, ma stiamo anche invertendo rapidamente la tendenza, registrando progressi significativi», ha dichiarato il presidente americano, spiegando che il rapporto sul lavoro mostra un aumento dell’impiego nel settore privato e non in quello governativo, che, ha concluso Trump «abbiano invece tagliato». Allo stesso tempo l’idea che la nuova amministrazione sta cercando di far passare è che tutto questo terremoto sia causato da Joe Biden, nonostante decine di analisti ed economisti sostengano il contrario, ovvero che tutta questa incertezza sia stata creata dall’azione di Trump dell’ultimo mese.

A soccorrere il presidente ci ha provato anche il segretario al Commercio, Howard Lutnick, attaccando Biden: «Siamo a metà marzo, il mio presidente ha iniziato il suo lavoro il 20 gennaio. Credete che i dati economici usciti all’inizio di marzo siano colpa di Trump?».

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