Supply Chain Act: come adeguarsi alla direttiva Ue sulla sostenibilità aziendale


Nell’ambito dei rapporti commerciali transnazionali, è oramai ampiamente diffusa la prassi di inserire clausole contrattali di responsabilità sociale d’impresa e l’adozione da parte delle imprese di codici di condotta che includono obiettivi di sostenibilità della supply chain, i quali divengono giuridicamente vincolanti per i fornitori proprio attraverso l’integrazione nei contratti di fornitura.

Responsabilità sociale d’impresa e codici di condotta nei contratti transnazionali

Tale prassi ha tratto origine dalla spinta propulsiva di diverse iniziative internazionali, in particolar modo dai Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (UNGPs) del 2011, poi ripresi dall’OCSE con l’aggiornamento delle Guidelines for Multinational Enterprises, dal Consiglio d’Europa con l’approvazione della Raccomandazione CM/REC(2016)3 e numerosi altri atti, sia di c.d. hard law (Direttiva UE 2022/2464 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità c.d. CSRD) sia di c.d. soft law (United Nations Global Compact, OECD Due Diligence Guidance for Responsible Business Conduct ecc).

Iniziative legislative nazionali sulla due diligence aziendale

Diversi Paesi hanno assunto iniziative legislative a protezione di diritti umani (USA e UK in primis) e ambientali. Pioneristicamente Francia, Germania e Svizzera, ad esempio, si sono spinte nell’introdurre leggi sulla due diligence aziendale nella catena di fornitura estese alla tutela della salute, sicurezza e ambiente, pur se destinate essenzialmente alle imprese di grandi dimensioni. Iniziative che hanno avuto  il merito di ampliare la diffusione di clausole di sostenibilità nei contratti, ma che hanno evidenziato come le concreta gestione degli impiatti negativi sui diritti umani e l’ambiente siano messi a dura prova da scenari di origine naturale, umana e geopolitica sempre più complessi.

La portata davvero innovativa della Direttiva UE 2024/1760 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024, pubblicata lo scorso luglio, relativa al dovere di Due Diligence in materia di sostenibilità aziendale, nota come CSDDD o Supply Chain Act), è data dal fatto che essa introduce un nuovo paradigma nelle relazioni contrattuali.

Ambito di applicazione della direttiva CSDDD

L’art. 2 prevede che la Direttiva si applichi a società con sede nell’UE che:

a) abbiano avuto, in media, più di 1 000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a Euro 450 milioni nell’ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d’esercizio;

b) pur senza raggiungere le soglie di cui al punto precedente, operino come società capogruppo di un gruppo che ha raggiunto tali limiti minimi nell’ultimo esercizio;

c) abbiano concluso o siano la società capogruppo di un gruppo che ha concluso accordi di franchising o di licenza nell’Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, qualora tali accordi garantiscano un’identità comune, un concetto aziendale comune e l’applicazione di metodi aziendali uniformi, e qualora tali diritti di licenza ammontassero a più di Euro 22 milioni e cinquecentomilanell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale, e a condizione di aver registrato o di essere la società capogruppo di un gruppo che ha registrato un fatturato netto a livello mondiale superiore ad Euro 80 milioni nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale.

Impatto della direttiva sulle PMI della catena di fornitura

La Direttiva si applica anche alle società extra UE che soddisfano una delle suddette condizioni, escluso il requisito del numero minimo di dipendenti.

Ma se ad una lettura frettolosa si potrebbe essere indotti a pensare che la Direttiva CSDDD riguardi essenzialmente le sole grandi imprese, analizzandone le previsioni ci si rende subito conto di come la portata degli obblighi sia pervasiva e si estenda giocoforza a tutte le PMI che sono “partner commerciali diretti o indiretti” operanti nella “catena di attività” della società immediatamente destinataria degli obblighi.

Obblighi fondamentali previsti dalla direttiva

a) obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle proprie attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività svolte dai loro partner commerciali nelle catene di attività di tali società;

b) responsabilità delle violazioni di detti obblighi di cui alla lettera a); e

c) obblighi che incombono sulle società di adottare e attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, la compatibilità del modello e della strategia aziendali della società con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5° C in linea con l’accordo di Parigi.

Elementi essenziali del dovere di diligenza

Con riguardo al “dovere di diligenza”, lo stesso dovrà essere esercitato dalle società destinatarie mediante:

a) integrazione del dovere di diligenza nelle proprie politiche e nei propri sistemi di gestione dei rischi;

b) individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali e, se necessario, attribuzione di priorità agli impatti negativi effettivi e potenziali;

c) prevenzione e attenuazione degli impatti negativi potenziali e arresto degli impatti negativi effettivi e minimizzazione della relativa entità;

d) riparazione degli impatti negativi effettivi;

e) svolgimento di un dialogo significativo con i portatori di interessi;

f) instaurazione e mantenimento di un meccanismo di notifica e una procedura di reclamo;

g) monitoraggio dell’efficacia della politica e delle misure relative al dovere di diligenza;

h) comunicazione pubblica sul dovere di diligenza.

Nuovo paradigma di responsabilità condivisa

La CSDDD traccia così un passaggio fondamentale dell’UE verso la promozione ed implementazione di pratiche commerciali responsabili tra gli operatori. L’approccio fin qui praticato in cui le imprese committenti e acquirenti si limitano di fatto a cercare di allocare, sul piano delle garanzie contrattuali (R&W), i rischi della eventuale non-compliance in capo ai propri fornitori e subfornitori, non sarà più sufficiente.

Il Supply Chain Act mira, infatti, a superare questo approccio formalistico al problema dei diritti umani e più in generale al tema della sostenibilità. Spesso le PMI, vuoi per carenze strutturali o perché più semplicemente mosse dal timore di perdere fatturato, tendono ad assumersi il rischio di rilasciare dichiarazioni e garanzie spesso non precedute da attività di adeguata verifica su effettivi o potenziali impatti avversi sui diritti umani o sull’ambiente annidati tra i vari soggetti e rapporti della filiera in cui operano.

Dovere di cooperazione nelle catene di attività

La Direttiva spinge nella direzione di addossare la responsabilità contrattuale per i diritti umani e la sostenibilità su ambedue le parti, poichè il processo di costante attuazione del dovere di Due Diligence implica lo svolgimento di attività che necessariamente coinvolgono tutte le società ed i partner commerciali diretti o indiretti.

Non si tratta, in sintesi, di mera traslazione di rischi ma di attuare un dovere di cooperazione nel perseguimento di risultati che dovranno essere tangibili, monitorati e pubblicati attraverso gli strumenti previsti dalla Direttiva.

Misure concrete di prevenzione e sostegno

Significative, in tal senso, sono le previsioni della CSDDD che nella prevenzione degli impatti avversi potenziali e arresto degli impatti avversi effettivi ma impossibili da rimuovere, impongono l’adozione di un piano di azione che dovrà spingersi a prevedere, tra le varie di:

  • apportare le modifiche o i miglioramenti necessari al piano aziendale, alle strategie generali e alle attività della società stessa, comprese le pratiche di acquisto, la progettazione e le pratiche di distribuzione;
  • effettuare gli investimenti finanziari o non finanziari, gli adeguamenti o gli aggiornamenti necessari, ad esempio, degli impianti, dei processi e delle infrastrutture di produzione o di altri processi e infrastrutture operativi;
  • offrire sostegno mirato e proporzionato alla PMI che è partner commerciale della società, se necessario alla luce delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli della PMI, anche fornendo o consentendo l’accesso allo sviluppo delle capacità, alla formazione o al potenziamento dei sistemi di gestione e, qualora il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione in materia di prevenzione ne comprometta la sostenibilità economica (da intendersi ai sensi del considerando n. 46), offrendo sostegno finanziario mirato e proporzionato, ad esempio finanziamenti diretti, prestiti a tasso agevolato, garanzie di approvvigionamento continuo o assistenza nell’ottenere finanziamenti;
  • ottenere il rilascio di garanzie contrattuali quanto al rispetto del codice di condotta della società e, se necessario, di un piano d’azione in materia di prevenzione se potenziale o correttivo, qualora gli impatti negativi siano effettivi, anche chiedendogli di ottenere a sua volta dai partner garanzie contrattuali equivalenti per quanto le loro attività rientrino nella catena di attività della società;

    Rimedi e conclusioni per le imprese

    Sul piano dei rimedi, la CSDD prevede che dove sia emersa l’impossibilità di prevenire o mitigare sufficientemente impatti avversi potenziali, ovvero di porre fine o ridurre al minimo la portata degli impatti avversi attuali con le misure adeguate in parte sopra prospettate, allora la Società quale last resort potrà invocare i rimedi della sospensione temporanea dei rapporti commerciali adottando un piano d’azione dedicato, ovvero cessare il rapporto d’affari qualora tale piano di azione non abbia avuto successo o non fosse ragionevole attendersi che avrebbe avuto successo.

    In conclusione, diviene fondamentale che le imprese si adoperino prontamente per rivedere le proprie policy e procedure aziendali e si dotino di contrattualistica adeguata a rispondere alle sfide e agli obiettivi che il legislatore europeo, con la Direttiva CSDD, ha risposto in capo agli operatori sull’assunto che il successo degli obiettivi di sostenibilità è rimesso anche e soprattutto nelle loro mani.



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