Perché Northvolt e Chips scombussolano l’Ue


Mentre Northvolt, la più promettente startup europea di batterie, annuncia il fallimento, l’Unione rischia di mancare gli obiettivi sulla manifattura dei microchip a causa della ritirata di Intel. Un gruppo di paesi, tra cui l’Italia, propone un nuovo Chips Act (dal 2026). Tutti i dettagli.

Northvolt, la più promettente startup europea di batterie, ha annunciato il fallimento quasi quattro mesi dopo la richiesta di amministrazione straordinaria negli Stati Uniti. I suoi asset verranno venduti per ripagare i debiti, che ammontano a più di 5 miliardi di dollari, e i tremila dipendenti saranno licenziati.

NESSUN SALVATAGGIO PER NORTHVOLT

Il governo della Svezia aveva detto più volte che non avrebbe provveduto al salvataggio di Northvolt – la cui sede centrale era a Stoccolma – e che non sarebbe entrato nel capitale. In questi mesi la startup non è riuscita a trovare un’azienda disposta a investirvi o a supportarla in altro modo: si era parlato di una possibile partnership con il colosso cinese Catl, la più grande società produttrice di batterie per veicoli elettrici al mondo, che tuttavia non si è realizzata.

L’EUROPA È IN RITARDO SULLE BATTERIE

Pur avendo raccolto tanti finanziamenti, soprattutto dalla casa automobilistica Volkswagen e dalla banca Goldman Sachs, e pur avendo ricevuto tanti ordini per le sue batterie, Northvolt non è riuscita a sviluppare l’economia di scala e a evolvere in una vera concorrente delle compagnie cinesi e sudcoreane.

L’Unione europea non possiede capacità industriali rilevanti sulle batterie, una delle tecnologie più critiche per la transizione energetica: le principali gigafactory sul territorio comunitario sono infatti gestite da Lg, Sk e Catl, che non solo detengono le competenze tecniche ma – è il caso soprattutto dei gruppi cinesi – hanno anche il controllo sulla filiera, fin dalle materie prime come il litio.

Il fallimento di Northvolt, quindi, complica ulteriormente i piani di Bruxelles per rafforzare la sua posizione in questo settore.

UN NUOVO PIANO PER I CHIP?

L’Europa è in ritardo rispetto all’Asia (e all’America) anche sui microchip, il componente fondamentale per la transizione digitale ma anche per tanti comparti “maturi”. Per cercare di rimediare a questa situazione e ridurre la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti, la Commissione ha elaborato un piano da 43 miliardi di euro – il Chips Act – con l’obiettivo di più che raddoppiare la quota manifatturiera di microchip dell’Unione entro il 2030, portandola dal 9 al 20 per cento del totale mondiale.

Il piano europeo è entrato in vigore nel settembre 2023. Gli Stati Uniti si erano dotati di un loro Chips Act già nell’agosto 2022, con una legge da 280 miliardi di dollari in tutto, di cui 52 miliardi dedicati alla manifattura di semiconduttori.

– Leggi anche: Perché Trump vuole smantellare il Chips Act di Biden?

Nei giorni scorsi, a margine del Consiglio competitività a Bruxelles, un gruppo di paesi membri europei – Paesi Bassi, Italia, Austria, Belgio, Francia, Germania e Spagna – ha proposto un rafforzamento del Chips Act. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che segue spesso le questioni legate ai semiconduttori, ha parlato di “un’alleanza strategica che rappresenti la base per definire il futuro Chips Act 2.0”.

IN COSA CONSISTE L’ALLEANZA EUROPEA PER I CHIP

In un comunicato del ministero delle Imprese, questo raggruppamento di stati europei viene definito una “‘coalizione dei volenterosi’ sui semiconduttori per rafforzare l’industria Ue dei chip e promuovere un nuovo approccio comune per la competitività del settore”.

L’Italia, i Paesi Bassi e gli altri membri di questa “alleanza” hanno presentato il 21 gennaio scorso un documento di indirizzo che funge da “base per definire il futuro Chips Act 2.0, sul quale la Commissione europea si è impegnata a lavorare con l’obiettivo di adottarlo entro il 2026”, cioè tra un anno.

L’aggiornamento del Chips Act ha l’intenzione di “rendere più competitive le imprese del settore, a partire dai grandi player industriali europei come la multinazionale italo-francese Stmicroelectronics e l’olandese Asml“.

GLI INVESTIMENTI

Urso ha detto che nel 2024 l’Italia ha ricevuto investimenti nell’industria dei semiconduttori per oltre 9 miliardi di euro, tra cui quello di Silicon Box a Novara (3,2 miliardi) e quello di Stmicroelectronics a Catania (5 miliardi).

La Germania dovrebbe ricevere un investimento di 10 miliardi complessivi da parte di Tsmc – la più grande e sofisticata compagnia manifatturiera di microchip – per una fabbrica a Dresda. La società statunitense Intel, però, entrata in crisi, ha sospeso il progetto da circa 10 miliardi per uno stabilimento a Magdeburgo: il raggiungimento del target comunitario al 2030 si è fatto più incerto.



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