
Ci potrebbe pensare che la crescita dell’export italiano faccia la fortuna delle nostre imprese di trasporto: qualcuno deve pur portare i nostri prodotti a destinazione! Invece, no: in gran parte ne beneficiano i vettori esteri. Secondo la Banca d’Italia, infatti, i vettori italiani hanno una quota di mercato sulle importazioni ed esportazioni di merci dell’Italia pari a solo il 15,8%, in calo dal già ridotto 24% dei primi anni Duemila – la strada è al 22%, la nave addirittura al 10,6%, anche se c’è l’importante eccezione del Ro-Ro, che invece supera il 60%, a dimostrazione del successo della battaglia a favore delle cosiddette Autostrade del mare portata avanti da Alis, l’Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile che a marzo celebra alla fiera di Verona la sua kermesse LetExpo.
L’Italia dunque abdica al proprio ruolo nel sistema di trasporti e di logistica, regalando miliardi di euro ai concorrenti esteri a causa della sua proverbiale e autolesionistica incapacità di fare sistema. «Il sistema industriale e manifatturiero italiano, essendo basato sulle piccole e medie imprese, non considera i trasaporti e la logistica come un’area su cui cercare di competere» dice Oliviero Baccelli, responsabile area trasporti del Centro ricerca Green dell’Università Bocconi. «Quindi anche le formule contrattuali con cui vengono gestite le esportazioni, ad esempio, sono tipicamente definite come ex works: il processo di gestione di tutta la catena di distribuzione al di fuori del cancello della fabbrica dell’impresa esportatrice viene gestito dal soggetto acquirente. Questo proprio perché le piccole e medie imprese non hanno le competenze, e non hanno l’attenzione a voler gestire in maniera diretta questo aspetto». Lo stesso avviene nel caso dell’import, dove prevale il ricorso alla modalità delivery duty paid, che attribuisce tutti i costi e i rischi del trasporto al venditore. «La logistica più che un’opportunità di competitività, viene percepita come costo da comprimere e, pertanto, la gestione del processo di trasporto è consegnata nelle mani dell’importatore o esportatore estero, che molto spesso si affida ad operatori esteri» si legge nel Rapporto di previsione del Centro studi di Confindustria Tassi, Pnrr, superbonus, energia: che succederà alla crescita italiana? «L’Italia perde così fatturati e competenze importanti a vantaggio di grandi multinazionali internazionali, che operano principalmente con headquarter e sistemi organizzativi basati all’estero» aggiunge Baccelli. Secondo i dati della Banca d’Italia, nel 2023 il deficit con l’estero nel settore dei trasporti ha raggiunto i 14,8 miliardi di euro. Risorse che, volendo, potrebbero rientrare almeno in buona parte nel sistema Italia. «Così come c’è il supporto all’internazionalizzazione fatto da Sace, dall’Istituto per il commercio estero, dal ministero del Made in Italy che accompagnano le imprese sui mercati internazionali per l’esportazione, per il trasporto ci dovrebbe essere un sistema di accompagnamento, di semplificazione degli aspetti doganali» osserva il responsabile area trasporti del Centro ricerca Green dell’Università Bocconi. «Si pone grande attenzione alle quote di mercato sui mercati internazionali della manifattura: si dovrebbe fare lo stesso con le quote di mercato degli operatori di trasporto italiano e la capacità di offrire servizi logistici, che sono parte integrante del valore delle esportazioni, destinando attenzioni, competenze, supporto organizzativo anche a questo aspetto».
Un’altra azione che sarebbe importante intraprendere è quella di un maggior coordinamento tra le imprese. «Anche le aziende più piccole dovrebbero potersi avvalere di consorzi, di metodi di organizzazione basati sulle logiche collaborative o di cluster di imprese che si consorziano per gestire in modo coordinato le esportazioni verso i grandi mercati» rimarca Baccelli, «questo è un po’ l’approccio delle politiche generali di supporto, avere dei referenti che possano aiutare un’organizzazione delle fasi di trasporto più snella, più semplice, più coordinata, più facile da leggere anche per le Pmi. Le piccole aziende potrebbero così trovare esperti per i diversi mercati, specie quelli più complessi fuori dall’Unione Europea, Stati Uniti, Cina e così via, per esempio attraverso iniziative promosse da Ice, che tipicamente è concentrato però sugli aspetti manifatturieri e non su quelli di trasporto logistico».
Non è certo solo questa abitudine di delegare all’estero il trasporto delle merci il problema.
La strada della logistica italiana è lastricata di tentativi di rilancio proprio come quella dell’inferno lo è di buone intenzioni. «Nonostante il settore delle merci e della logistica abbia un peso rilevante – circa il 9% del Pil – in Italia non esiste un campione nazionale di riferimento» dice Salvatore Pellecchia, segretario generale di Fit-Cisl. «Questo, secondo noi, rappresenta un limite significativo. Il nanismo aziendale che caratterizza il settore impedisce di mettere in campo sinergie, di ottenere economie di scala e di migliorare la qualità del servizio. Viviamo in un’epoca di intelligenza artificiale e innovazione, ma senza una struttura adeguata non si riesce a fare il salto di qualità, né sul piano dei processi né su quello dei prodotti». Un altro tema cruciale è quello dell’integrazione modale con le altre forme di trasporto, cui lavora con profitto Alis e di cui si parla diffusamente a LetExpo. «Esistono le cosiddette “autostrade viaggianti”, che in alcune tratte ferroviarie potrebbero essere attivate, come nel caso della linea adriatica Taranto-Bologna» mette in evidenza Pellecchia. «In questo modo, potremmo caricare interi tir sui treni grazie a speciali carri con pianale ultrabasso, con benefici evidenti in termini di sostenibilità, sicurezza e riduzione della congestione stradale. Se esistesse un campione nazionale in grado di interagire con le imprese ferroviarie merci, si potrebbero creare sinergie ancora più efficaci per affrontare problemi complessi con soluzioni articolate».
A proposito di ferrovie, recentemente c’è stata una polemica a ben vedere malposta. «I dati mostrano che la puntualità dei treni regionali nel 2024 è calata di un punto percentuale rispetto all’anno precedente» rimarca il segretario generale di Fit-Cisl. «Tuttavia, nel 2024 i cantieri del Pnrr sono passati dalla fase progettuale alla fase operativa, il che ha inevitabilmente comportato disagi. Nonostante ciò, l’azienda è stata più performante rispetto all’anno precedente, considerando la mole di lavori in corso». Insomma, i disagi non fanno piacere a nessuno, ma a volte sono necessari. «Se vogliamo infrastrutture più sicure e tecnologicamente avanzate, dobbiamo accettare qualche disagio» nota Pellecchia. «È un po’ come quando si ristruttura casa: se hai una seconda abitazione puoi lasciare i muratori a lavorare senza problemi, ma se vivi nella casa in ristrutturazione, il disagio è inevitabile». Un altro aspetto fondamentale riguarda l’armonizzazione contrattuale e il rispetto della legalità. «Le aziende devono comprendere che la concorrenza non si gioca solo sul costo del trasporto, ma sulla capacità di offrire un servizio più efficiente e sicuro» aggiunge il segretario generale di Fit-Cisl. «Se questo principio fosse condiviso, molte delle problematiche che emergono purtroppo anche nei casi di cronaca non esisterebbero».
Proseguire sulla strada dei guai della logistica è difficile: ben presto ci si trova fermi in coda. «C’è poi il grande tema che ricade anche sul pubblico più generale, quello dell’inefficienza dei sistemi autostradali di accesso ai grandi nodi portuali» rileva Baccelli. «In Liguria in questo periodo tutte le associazioni degli autotrasportatori sottolineano come sia molto più complesso rispetto al passato il processo di ottimizzazione delle prese e delle consegne. Ci sono i cantieri sulle autostrade e fenomeni di congestione sempre più rilevanti, legati sia ai cantieri che all’incremento dei picchi di traffico, perché nel corso del tempo si sono concentrati i volumi su un minor numero di navi. Questo vuol dire creare più congestione ai varchi doganali in ambito portuale, il che si ripercuote sull’efficienza complessiva del sistema dell’autotrasporto. Così, per fare un esempio, invece di fare due volte al giorno andata e ritorno da un magazzino di Segrate a Genova, spesso si riesce a farlo solo una volta». Il problema è che non ci sono vie di uscita in tempi brevi. «I grossi progetti autostradali come quello della gronda autostradale di Genova, che è il più ambizioso a livello europeo, è pronto per partire» continua Pellecchia, «c’è una progettualità studiata nel corso degli ultimi decenni, però c’è sempre il problema di come gestire dal punto di vista economico finanziario questo tipo di intervento: chi lo paga? Sono cantieri molto costosi e negli ultimi tempi l’inflazione delle attività di ingegneria civile è stata molto elevata, quindi c’è ancora il problema di trovare l’equilibrio economico finanziario, e la soluzione non si vedrà prima di un decennio. Cito il caso Ligure perché circa il 50% dei traffici in import-export in Italia via container passa da lì».
Una soluzione su cui punta in modo particolare il Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi, oltre alla riforma dei porti, è la Piattaforma nazionale della logistica, un’infrastruttura digitale integrata, pensata per ottimizzare e coordinare i flussi di merci, migliorando l’efficienza del sistema di trasporto e facilitando l’accesso alle informazioni in tempo reale. L’obiettivo è creare una rete unitaria che colleghi porti, ferrovie, autostrade e aeroporti, migliorando la gestione della logistica e riducendo i costi per le imprese. «Questa piattaforma sarebbe anche utile per monitorare l’intero ciclo della logistica, dalla produzione alla distribuzione, e per semplificare i processi burocratici legati al settore» ha affermato Rixi. Un’accelerazione del progetto si è avuta grazie all’investimento 2.1 ‘Digitalizzazione della catena logistica’ del Pnrr, suddiviso in tre sub-investimenti: LogIn Center, con uno stanziamento di 30 milioni di euro per la realizzazione della piattaforma e al migrazione sul cloud del Polo Strategico Nazionale; Reti Portuali e Interportuali, con 45 milioni di euro, di cui 16 milioni destinati alle Autorità di Sistema Portuale per l’implementazione dei Port Community System (Pcs), 10 milioni per gli interporti e la restante parte per la migrazione dei PCS sul cloud del Polo Strategico Nazionale; LogIn Business, con 175 milioni di euro per favorire la digitalizzazione delle imprese di trasporto e logistica. «Credo che quello della Piattaforma logistica nazionale sia un progetto non solo importante, ma anche necessario per il nostro Paese, considerando il fatturato che il settore sviluppa» osserva Pellecchia. «Ci sarebbero buone premesse per realizzarlo. Il vero problema, però, è una sorta di “sindrome di Penelope”, che si ripresenta ogni volta che cambia il governo. Abbiamo visto in passato che si iniziavano percorsi e progetti, ma poi con l’alternanza politica tutto veniva azzerato e si ripartiva da capo. Su temi strategici come le infrastrutture e la logistica, servirebbe invece una convergenza di tutte le forze politiche e dei portatori di interesse, perché alla fine a beneficiarne sarebbe il Paese intero, non una singola parte politica». «A livello italiano è proprio difficile immaginare che ci possa essere una vera e propria piattaforma di digitalizzazione spinta» afferma il responsabile area trasporti del Centro ricerca Green dell’Università Bocconi. «Quello che è interessante è che via via è stato compreso e reso diffuso il ruolo dei Port community system, cioè quei sistemi specificamente dedicati a traffici dai e per i porti, dove le esigenze di coordinamento tra tanti attori e i controlli degli enti pubblici, quindi doganali, fitosanitari, capitanerie di porto, autorità di sistema portuale, servizi tecnico nautici, devono essere tutti informati in modo preciso, avere le stesse informazioni rispetto alle problematiche, ai traffici, alle merci pericolose e così via». I Port community system sono dunque una sorta di embrione del Piano logistico nazionale cui si aspira. «Il coordinamento a livello portuale in alcuni casi è andato molto bene, Livorno e Trieste sono sicuramente i due casi con sistemi di Port community system ben funzionanti» osserva Baccelli, «via via le autorità di sistema portuale se ne sono fatte promotrici anche in altri contesti, utilizzando proprio gli stessi software promossi da Livorno e Trieste, e qualche beneficio si sta ottenendo. Siamo ancora a livelli di sistemi portuali e qualche successo c’è stato, ma per arrivare a livello nazionale le problematiche sono infinite, anche perché questi sistemi che ho raccontato hanno degli standard comuni, ma in realtà sono differenziati da caso a caso, anche per tenere conto delle specificità, quindi ricondurlo a livello nazionale è molto difficile».
Il governo sta puntando con decisione proprio sulla riforma dei porti. Secondo fonti ministeriali si tratta di un intervento strategico basato su quattro pilastri fondamentali: pianificazione, coordinamento integrato, sostenibilità ed efficienza. L’obiettivo è chiaro: creare un nuovo modello di governance che garantisca linee guida comuni, un sistema armonizzato per le concessioni e una gestione coordinata dei piani regolatori portuali.
Al centro della riforma c’è l’istituzione di una struttura a controllo pubblico, pensata per coordinare gli investimenti e valorizzare le specificità di ogni Autorità di Sistema Portuale. Le decisioni dovranno rispondere alle esigenze locali, ma sempre in un quadro unitario nazionale, per assicurare uno sviluppo omogeneo e strategico dell’intero sistema portuale italiano.
Questa nuova impostazione permetterà di accelerare la realizzazione delle opere e rendere la logistica più efficiente e competitiva. L’Italia, grazie alla sua posizione geografica, ha il potenziale per diventare un hub di riferimento nel commercio internazionale, ma per riuscirci è fondamentale investire in una logistica moderna, dinamica e ben integrata.
In questa direzione, il governo sta aggiornando il piano della logistica per renderlo più attuale e coerente con le sfide globali. L’obiettivo è attrarre investimenti dai mercati internazionali senza ricorrere all’indebitamento, mantenendo comunque il controllo pubblico. Una strategia chiara per un futuro in cui porti e logistica possano crescere senza ritardi né incertezze
A proposito di porti: Houston, anzi, Genova, abbiamo un problema, la competizione dei grandi scali del Nord Europa.
«Una parte degli interscambi internazionali, in particolare verso gli Stati Uniti, ma anche verso l’America Latina e alcune destinazioni dell’Africa Occidentale, non usano i porti italiani, preferiscono quelli del Nord Europa, Anversa, Amburgo, Rotterdam» spiega il responsabile area trasporti del Centro ricerca Green dell’Università Bocconi. «Questo perché quei porti riescono ad offrire un numero di servizi di linea container, in particolare, molto maggiore rispetto al caso italiano. Il porto di Rotterdam gestisce un numero di servizi di linea superiore a quelli offerti dai 50 porti commerciali italiani insieme».
Difficile reggere la concorrenza. «Nel Nord Europa in un unico porto si trova la possibilità di utilizzare tante tipologie di compagnie marittime, tante destinazioni, e quindi si preferisce allungare di molto la tratta terrestre per raggiungerlo anziché scegliere quelli dell’Arco Ligure» evidenzia Baccelli. «Ci sono dei trend di leggero recupero, ma molto graduale. Ci sono delle tematiche doganali di percentuale delle ispezioni che sono nettamente inferiori nei porti del Nord Europa rispetto a quello che accade in Italia, per cui molto spesso è più veloce, anche se da questo punto di vista qualche progresso da parte del sistema doganale in Italia c’è stato nel corso degli ultimi anni. Anche qui però ovviamente se ci sono importazioni complesse per tipologia di prodotto, il vantaggio dell’expertise dei sistemi del nord Europa, che gestiscono volumi molto più elevati, sono aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. In questo caso si perdono i ricavi delle movimentazioni portuali, dei modelli organizzativi degli spedizionieri che in questo caso si avvalgono poi di operatori internazionali e non di operatori italiani. Ci sono tanti elementi di efficientamento su cui lavorare».
Si è parlato tanto dei danni arrecati anche alle imprese italiane dagli attacchi degli Houthi ai mercantili nel Mar Rosso. Ma la verità è che tra merci italiane trasportate da vettori esteri, inefficienze infrastrutturali e logistiche, dei porti e dei sistemi autostradali e via trasportando, gli Houthi ce li abbiamo in casa. Anzi, per parafrasare una canzone di Umberto Tozzi: gli Houthi siamo noi.
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