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27 Marzo 2025 2:06:06 AM
Il profitto non inquina le università




Con questi «liberali», che bisogno c’è dei comunisti? Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, ha presentato un disegno di legge contro le università telematiche che s’inserisce nel contesto dell’aggressione orchestrata a danno dei nuovi atenei, soprattutto da parte delle forze politiche e culturali di sinistra. D’altra parte i contenuti del provvedimento di Lupi sono analoghi a quelli di una proposta firmata da Elisabetta Piccolotti, di Alleanza Verdi Sinistra. Obiettivo della strana coppia Lupi-Piccolotti è «l’esclusione di qualsiasi scopo di lucro» dagli statuti delle università.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Gli atenei tradizionali sono per lo più soggetti statali e quando non lo sono si tratta di fondazioni non a scopo di lucro. Questo non significa che essi non siano utilizzati da baroni universitari e amministratori per i loro obiettivi: assunzioni, operazioni immobiliari, investimenti e altro. È vero che non distribuiscono soldi agli azionisti e nemmeno pagano imposte, come fanno le università telematiche controllate da società di capitali. Per giunta in queste ultime le risorse non vengono dai contribuenti, ma da chi decide di investire nell’alta formazione e nella ricerca: ovviamente con l’obiettivo di ottenere un ritorno.

Per Lupi e Piccolotti, però, il profitto inquinerebbe l’università. Quando secoli fa dominavano visioni del mondo di stampo fondamentalista, il denaro era lo sterco del demonio. Per fortuna (e Lupi queste cose le sa) acuti e sensibili uomini di Chiesa hanno poi spiegato a tutti che ci sono profitti più che leciti, quando ci si mette al servizio del pubblico. Ciò che oggi esattamente fanno gli atenei online.

Va aggiunto che le imprese universitarie che si vorrebbe azzoppare non solo non ricevono veri finanziamenti dallo Stato, ma addirittura ogni anno danno all’erario molte decine di milioni di euro. Benché debbano competere con università ampiamente foraggiate dallo Stato, gli atenei online erogano lezioni a circa il 14 per cento degli studenti universitari. In sostanza, le università «non a scopo di lucro» costano al contribuente 9 miliardi di euro per l’86 per cento degli studenti, mentre le telematiche si rivolgono al 14 per cento degli studenti (circa un sesto) dando allo Stato molto più di quanto non ricevano. Se seguissimo Lupi e Piccolotti nel loro rifiuto del mercato, 14 studenti su 100 perderebbero la possibilità di studiare; a meno che lo Stato non metta mano al portafogli dei contribuenti per estrarre più di 1,5 miliardi di euro.

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Se l’ostilità verso il profitto è comprensibile in Piccolotti, non lo è in Lupi. La sua proposta di legge, se approvata, farebbe tirare giù la serranda a imprenditori che hanno investito da noi.

Per di più si toglierebbe a molti studenti, spesso lavoratori, la possibilità di crescere sul piano culturale e professionale. Dietro a questa iniziativa politica, d’altro canto, non c’è alcuna spiegazione se non ideologica, ma si tratta di una teoria collettivista sconfitta dalla storia nel 1989 e a ben guardare anche prima.



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