25 Marzo 2025
tagliare gli aiuti alle fossili si può


Il governo di Giorgia Meloni ha fatto una cosa giusta, eliminando un sussidio alle fonti fossili. È positivo che le risorse generate siano indirizzare al trasporto locale: ma non sono abbastanza

Il governo Meloni ha fatto una cosa giusta. E quando accade bisogna dargliene merito. Stiamo parlando del riordino delle accise su gasolio e benzina sulla base delle emissioni prodotte dai combustibili. Un intervento che elimina un sussidio alle fonti fossili e che dunque va nella direzione giusta rispetto alle politiche di riduzione dell’inquinamento e lotta ai cambiamenti climatici, eliminando un vantaggio senza senso di cui beneficiava il gasolio.

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È vero, la strada era segnata da tempo per accordi presi con la Commissione europea nell’ambito del Pnrr, ma il risultato non era scontato visto l’atteggiamento che questa maggioranza ha avuto fino ad oggi rispetto alle politiche ambientali. Inoltre, lo ha fatto in modo equilibrato e trasparente.

Che poi, senza dirlo a Meloni, era esattamente quanto da anni proponeva Legambiente. Ossia di prevedere un intervento graduale, con applicazione spalmata in cinque anni per ridurre l’impatto e indirizzando le risorse generate verso il trasporto pubblico locale. E male ha fatto l’opposizione a criticare il provvedimento, parlando addirittura di una nuova tassa.

Se è comprensibile che si rinfaccino le promesse della premier e di Matteo Salvini sul taglio delle accise, si doveva piuttosto dire che il governo aveva finalmente fatto almeno una cosa giusta come questa parte politica proponeva da tempo. Perché una forza di opposizione è credibile se vota con il governo quando fa le cose che stavano nel suo programma elettorale.

Semmai si doveva mettere in evidenza che le risorse che verranno generate dal riallineamento delle accise, circa 1,2 miliardi in cinque anni per i maggiori consumi di gasolio rispetto alla benzina, sono del tutto inadeguate per rilanciare il trasporto pubblico locale in Italia. Visto che può contare su risorse che sono di quasi il 40 per cento inferiori rispetto al 2009, perché mai sono stati recuperati i tagli lineari agli stanziamenti inflitti da Giulio Tremonti.

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Ciò che ancora serve

In questo caso non vanno scomodati i padri fondatori del progetto federalista per il vecchio continente, ma davvero si può dire: viva l’Europa. Dopo l’obbligo di gare per l’assegnazione delle concessioni balneari, finalmente si intacca un’altra assurdità e ingiustizia su cui nessun governo italiano era riuscito a intervenire. Tra l’altro, questo intervento non ha avuto neanche troppa visibilità o creato particolari problemi di consenso al governo.

Per la semplice ragione che quando si spiegano le ragioni dei provvedimenti la maggioranza delle persone capisce, lasciando ai gruppi di interesse che protestano uno spazio marginale. Perché questo in fondo ci si aspetta da chi è al governo: scelte chiare e motivate, oltretutto in questo caso rispetto a temi come l’inquinamento e il clima che oramai tutti riconoscono come importanti.

Saprà Meloni continuare su questa strada? I dubbi sono legittimi e per questo è importante che l’opposizione incalzi la premier con proposte che vanno nella medesima direzione. Ad esempio, proponendo di introdurre nel decreto Bollette in corso di conversione in parlamento una revisione della fiscalità sui consumi casalinghi di gas e elettricità. Perché anche qui occorre imprimere un cambio analogo della fiscalità, tra iva e accise, in funzione delle emissioni.

Perché non è la stessa cosa in termini di emissioni climateranti e di inquinamento locale, per la salute del pianeta e per quella dei cittadini, se nelle case si usano impianti che vanno a metano o elettricità. In un paese come l’Italia ogni passo nella direzione della elettrificazione dei consumi è da salutare e incentivare.

Nel 2024 le fonti rinnovabili hanno coperto il 41,2 per cento della domanda di elettricità e questi numeri cresceranno ancora nei prossimi anni per gli impegni presi a livello europeo. Del resto, sono tante le contraddizioni che si trovano nel sistema fiscale italiano rispetto agli obiettivi ambientali, con decisioni prese in tempi e scenari geopolitici molto diversi da oggi.

Se all’epoca erano comprensibili, ora non lo sono più e rinviarne la cancellazione è un regalo a gruppi di interesse che ne traggono ingiusti guadagni. E un paese che deve trovare risorse per investimenti urgenti per la sanità e la transizione energetica davvero non può permetterselo.

Una questione primaria 

L’Italia è un paese con un gigantesco debito pubblico e un disperato bisogno di investimenti. Per questo occuparsi di fiscalità e sussidi è una questione politica primaria quanto delicata perché bisogna legare ogni proposta di riforma a chiare scelte che producono benefici diffusi e accelerano investimenti da parte di famiglie e imprese.

Due esempi valgono di più di tante parole. Se aumenteranno le risorse per il trasporto pubblico locale le aziende, tra cui Trenitalia, potranno mettere finalmente più autobus per strada, treni per i pendolari, convogli di tram sulle rotaie diventando finalmente attrattivi per chi oggi non può permettersi di aspettare 40 minuti alla fermata ogni mattina.

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Non solo, in Italia ci sono diverse fabbriche di questi convogli che si interrogano su cosa succederà dopo il Pnrr, se il rinnovo e potenziamento del traporto pubblico continuerà o meno. I margini ci sono per recuperare progressivamente queste risorse dalla grande torta della fiscalità dei trasporti, rendendo così possibile programmare nuovi investimenti e servizi a disposizione dei cittadini come avviene nelle altre città europee. Secondo esempio, a proposito di difesa e rilancio del sistema industriale italiano e di lavoro. Il nostro sistema di imprese è oggi un campione europeo del settore delle pompe di calore.

Eppure, siamo l’unico paese europeo a non avere una strategia per il loro sviluppo e siamo i principali difensori in Europa delle caldaie a gas. La ragione per cui Francia, Germania, Regno Unito hanno definito una strategia condivisa con l’industria, fissando incentivi competitivi e certezze per il loro sviluppo è perché comprendono il valore strategico di queste tecnologie che avranno un gigantesco sviluppo nella elettrificazione in tutto il mondo dei sistemi di riscaldamento.

Qui ancora ci sono le condizioni per resistere alla concorrenza della Cina, qui possiamo ancora difendere fabbriche e scommettere sulla loro competitività nel mondo. Quanto dobbiamo aspettare perché il ministro delle Imprese Adolfo Urso se ne occupi?

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