
Atti della presentazione del rapporto “La gestione dei fondi europei in Italia”
A seguire sono disponibili gli atti della presentazione del rapporto “La gestione dei fondi europei in Italia: asset strategico per il volàno della nostra società”.
L’incontro, si è svolto il 27 febbraio 2025 presso la Sala del Museo Ninfeo – Enpam di Roma. Hanno presentato i risultati e sono intervenuti: Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, Alberto Oliveti, Presidente della Fondazione Enpam, Giovanni Candigliota, coordinatore della ricerca, Salvatore Carfì, Direttore Organismo di Coordinamento AGEA – Agenzia per le erogazioni in agricoltura.
Alberto Oliveti, Presidente della Fondazione Enpam: «Buongiorno a tutti, bentrovati, benvenuti in questo spazio museale che, come molti sapranno – io lo ricordo sempre – abbiamo voluto dedicare alla memoria dei medici caduti mentre lottavano contro il Covid. Come Presidente dell’Enpam, vorrei rimarcare che l’impegno con Eurispes prosegue nel segno dell’attenzione verso temi che hanno una forte connotazione sociale, come quello dell’utilizzo dei fondi strutturali europei. L’approccio basato sui numeri, sui fatti, che da sempre caratterizza Enpam ed Eurispes, è una strada che perseguiamo per capire la realtà e intraprendere, se ci sono, delle iniziative nuove. Venendo all’argomento della ricerca presentata oggi, secondo la Corte dei Conti, nel 2020 l’Italia aveva speso solo meno del 40% (il 38%) delle risorse assegnate per il ciclo di programmazione 2014-2020. Dati come questi certificano un problema italiano di programmazione – di messa a terra – dei progetti di sviluppo. Poi alla base ci possono essere la complessità burocratica, ridotte capacità di progettazione, la carenza anche in àmbiti di monitoraggio e controllo. In un contesto simile, il problema della scarsa programmazione ha determinato negli ultimi anni una sempre maggior sofferenza nel Servizio sanitario nazionale. Io lo ricordo, abbiamo fatto una ricerca con Eurispes, sul Servizio sanitario nazionale, che ha avuto un sacco di riscontro, veramente numeri importanti. Questo per un problema sia a livello ospedaliero, sia a livello territoriale, di criticità legate alle liste di attesa, al mancato soddisfacimento dei bisogni dei sanitari, dei medici, dei professionisti. Problemi che in questo caso affliggono la nostra sanità. Quindi io credo che ricerche come questa siano indispensabili per creare una maggior consapevolezza dell’importanza di incrementare l’efficacia della capacità gestionale e del monitoraggio. Quindi, con questo, auguro a tutti una proficua giornata di lavoro».
Gian Maria Fara, Presidente della Fondazione Eurispes: «Mi limito veramente ad un saluto affettuoso e un ringraziamento nei confronti del Presidente Oliveti e dell’Enpam, con il quale l’Istituto ha istituzionalizzato, scusate il bisticcio di parole, una collaborazione interessantissima. Ogni anno produciamo un Rapporto sullo stato di salute nel nostro Paese. Stavamo riflettendo, qualche minuto fa, sul fatto che l’ultima edizione ci ha – come dire – gratificato di circa 550 e passa articoli di stampa, che tradotto in termini, conoscendo i meccanismi del sistema dell’informazione, vuol dire che siamo riusciti a produrre qualcosa di utile, qualcosa di interessante. Essere qui oggi per noi è un grande piacere, un grande onore. Questa sala è adorabile, quindi grazie Presidente Oliveti per questa ospitalità che l’Istituto apprezza vivamente. Oggi presentiamo una ricerca realizzata, guidata, condotta dal nostro amico Giovanni Candigliota che ve la illustrerà fra poco. Io poi mi riservo un minuto o due per eventuali conclusioni, ove necessario, ma potrebbero anche non servire. Lascio la parola a Giovanni Candigliota».
Giovanni Candigliota: «Innanzitutto, grazie Presidente Fara per avermi dato l’opportunità di coordinare questa ricerca, grazie al Presidente Oliveti anche, ringrazio anche tutti quanti voi, con molti di voi ho avuto la possibilità di lavorare, di collaborare, ancora lavoriamo insieme con molti di voi, ed è un piacere perché per me è una crescita professionale ma anche umana. Quando ci siamo seduti con Euripes per iniziare questo lavoro, ovviamente immediatamente ho capito la complessità del lavoro, però non mi aspettavo che fosse così articolato riuscire ad analizzare questo fenomeno, il fenomeno dei fondi strutturali. Perché? Parliamo di una mole di dati, di circa 1 milione di dati elaborati, provenienti da diverse fonti, fonti europee quindi immaginiamo l’Unione europea, o l’Eurostat, o la Banca Centrale europea, la stessa identica cosa vale a livello nazionale e regionale, quindi una mole di dati veramente rilevante, di grande complessità. Una volta che abbiamo iniziato a divertirci con questi dati, abbiamo capito che oltre un documento, quello che vedete scritto, sarebbe stato interessante anche aggiungere una statistica al package che abbiamo fatto, in cui c’è una dinamicità dei dati, in cui si può confrontare l’Italia rispetto agli altri paesi. Perché è così complesso analizzare questo fenomeno? Perché in ballo ci sono valori economici veramente importanti. Pensate che, a livello nazionale, ogni anno in questo periodo storico, circa 11 miliardi di € all’anno derivano da fondi europei. Parliamo di fondi strutturali e fondi PAC. Poi ce ne sono anche altri. A questi 11 miliardi, di cui 6 derivano dai fondi strutturali e 5 dai fondi PAC, Politica Agricola Comune, bisogna aggiungere poi un bust di 32 miliardi annui, che è il valore medio del PNRR. Vedete che quindi, ogni anno, l’Italia gestisce risorse finanziare superiori alla legge finanziaria stessa che è di circa 30 miliardi annui. Allora vale la pena iniziare a guardare un pochettino più nel dettaglio questi numeri. Guardando i fondi strutturali, limitandoci in questo momento soltanto ai fondi strutturali – che poi sono composti dal FESR, dal Fondo Sociale Europeo Plus, (FSE+), dal FEAMPA e dal nuovo Fondo per una Transizione giusta, (JTF) – confrontando il ciclo di programmazione settennale attuale che è il 2021-2027, con quello precedente che è il 2014-2020, si iniziano a guardare delle prime cose interessanti. Si inizia a vedere innanzitutto che abbiamo più soldi. L’Ue ha destinato a valori correnti 8 miliardi in più, 8 miliardi e 7 in più di €. A valori costanti 2018 sono 2 miliardi e 4. Sembrerebbe un dato positivo. In realtà non lo è. Perché? Perché l’Ue destina più soldi alle nazioni che crescono meno. Quindi siamo cresciuti meno rispetto alle altre nazioni. Se poi facciamo un confronto allargando la finestra temporale, ci rendiamo conto che nel 2000, tra le 50 regioni più ricche a livello europeo, 10 erano italiane. Ottimo. Nel 2020, a distanza di 20 anni, diventano soltanto 4, che sono le 2 province autonome, Trento e Bolzano, Lombardia e Valle d’Aosta. Ahimè nel 2000 non avevamo nessuna regione tra le 50 meno ricche. Oggi siamo presenti con 4 regioni: la mia Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania. Abbiamo fatto quindi un primo confronto alto. Sembra assurdo quello che sto per dire, ma il ciclo di programmazione 2014-2020, sebbene si dovesse concludere nel 2020, ancora è in piedi. In che senso? È possibile ancora utilizzare delle risorse, spendere delle risorse, quindi liquidare delle risorse entro luglio 2025. L’ammontare di risorse a livello europeo complessivo è di 42 miliardi. Quindi, tutti gli Stati nazionali, complessivamente, hanno 42 miliardi da spendere per il ciclo di programmazione passato. Ahimè, l’Italia risulta essere quella che ha maggiori risorse da spendere, rispetto a tutti gli altri paesi. Parliamo del 18% del valore complessivo, che sono 7,5 miliardi.
Se invece facciamo un’analisi sull’attuale ciclo di programmazione, quindi il 2021-2027, e facciamo un po’ di paragoni, anche lì la situazione non può che migliorare. È un ammontare da 75 miliardi di €. L’Italia a metà del ciclo di programmazione – una fotografia al 31 luglio dello scorso anno – ne ha impegnati 12,5 miliardi. Ha speso soltanto il 2,3% di 75 miliardi, poco più di un miliardo. Un miliardo e 6. Cosa significa questo dato però? Impegnare delle risorse finanziarie significa trovare le progettualità. Quindi significa che a monte c’è un lavoro della PA che banalmente deve emanare bandi. Dall’altra parte, c’è un soggetto che riesce a individuare delle progettualità interessanti, coerenti e riesce a proporsi. Dall’altro lato, una volta individuate queste progettualità, esse vanno realizzate, quindi si iniziano a emettere fatture e si inizia ad aumentare il valore dello speso. Ecco che questi valori già segnalano una difficoltà e da parte del mondo pubblico e da parte del mondo privato, che forse non riesce, oggi come oggi, ad acquisire questa mole di denaro e a fare progettualità di un certo tipo. Andando avanti con l’analisi, ci rendiamo conto che l’Italia ha nei prossimi 2 anni una sfida incredibile, perché dovrà impegnare ben 65 miliardi di € della programmazione 2021-27. Poi in realtà, come avviene molto spesso, nel corso degli ultimi cicli di programmazione, ci saranno sicuramente delle proroghe. Ad oggi ovviamente non si parla di proroghe, siamo ancora troppo in anticipo. 63 miliardi di progettualità da realizzare soltanto sui fondi strutturali. Non ci dimentichiamo che abbiamo sempre il cappello del PNRR che grava fino al 2026. Da questo punto di vista il governo si è mosso attraverso una legge di coesione di luglio del 2024, in cui ha cercato di incanalare queste risorse su macro progetti, quindi progetti più ampi, su dei settori considerati strategici, rilevanti per l’Italia, che sono quelli di innovazione tecnologica, semiconduttori avanzati, intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche e biotecnologie e poi cercando di individuare delle condizioni abilitanti a livello territoriale per far ricadere queste progettualità sul territorio. Qual è un’altra evidenza di questa analisi? Che il taglio, peccato, delle progettualità che sono in Italia, hanno un taglio medio di valore economico sui fondi strutturali piccolo. Circa 79.000 € a progetto. E però noi siamo formati da tante piccole imprese, no? Quindi ci potrebbe anche stare. Il confronto con le altre nazioni, chi invece è leader da questo punto di vista, chi invece per ogni progetto ha una quantità di valore importante è la Romania: 3,2 milioni per progetto. Vedete che c’è una disparità incredibile. Guardando attentamente i dati, però, si scopre che in Italia ogni singola impresa che capisce come funziona la gestione dei fondi europei fa più progettualità. Ogni singola impresa infatti in media ha richiesto 8,3 progettualità sui fondi strutturali. Detto ciò, c’è un’interessante indagine di mercato, fatta nel 2022 da Formez, che evidenzia come gli stessi dipendenti della PA, un quarto di loro in realtà, circa il 28%, non conosce i fondi strutturali che la stessa PA sta in quel momento gestendo. Quindi c’è un’assenza non solo di processi e procedure, ma di know-how su queste tematiche. E questo è il mondo dei fondi strutturali.
Guardiamo invece il mondo della PAC – la Politica Agricola Comune – una delle politiche europee più longeve e anche integrata a livello europeo, nasce nel ‘62. Oggi viviamo nell’era della PAC 23-27. Anche i cicli finanziari della PAC sono settennali. Sono intervenuti periodicamente dei regolamenti che hanno modificato sostanzialmente però la PAC e quindi oggi si parla di Pac 23-27. Quali sono i cambiamenti principali? Il cambiamento sicuramente principale è il new delivery model, un nuovo modello di pensare la PAC, che ha come base il Piano Strategico nazionale. L’Europa dice: bene, cambiamo approccio. Dal 2024 non si parlerà più di una politica agricola comune a livello europeo, diamo delle linee guida – sostanzialmente sono 3 obiettivi macro, declinati poi in ulteriori 10, e ogni nazione fa il proprio piano strategico nazionale che deve essere approvato da noi. Poi a livello nazionale cosa succede? Ovviamente si scende al livello successivo, al livello regionale, e quindi ogni regione di base ha più autonomia, il che potrebbe essere anche positivo, soprattutto per una nazione come la nostra che è eterogenea nel proprio territorio.
Detto ciò, qual è la situazione della PAC attuale? La PAC ha 3, come dicevo prima, elementi fondamentali: una PAC economicamente sostenibile, vuol dire un sistema di sostegno finanziario più mirato verso l’agricoltore, il rafforzamento della competitività degli agricoltori e un miglioramento della posizione dell’agricoltore nella catena alimentare. Su questo poi faremo un dettaglio. Una PAC più verde è un secondo macro obiettivo imposto dall’Ue. Quindi una transizione verso il verde nei settori agricoli, incentivi a favore del clima e dell’ambiente, nonché dell’agricoltura biologica e una PAC sostanzialmente sostenibile, il concetto di sostenibilità che ovviamente è trasversale un po’ a tutti i settori, anche a livello di agricoltura. I vari Piani Strategici nazionali delle varie nazioni già oggi evidenziano alcuni elementi di miglioramento: la complessità amministrativa e burocratica. Dando più peso al territorio, il territorio oggi si ritrova a dover gestire un’attività burocratica che prima non aveva. Definire gli interventi, si chiamano tecnicamente, e poi poterli pianificare, eseguire e monitorare. Ciò significa un carico amministrativo eccessivo. Ad esempio, in Italia sono stati individuati 173 interventi. Non tutte le regioni hanno gli stessi interventi. Questo è il primo tema. Secondo tema, invece, è la possibile disomogeneità dell’applicazione tra Stati membri. Posti degli obiettivi principali, delle linee guida, degli indirizzi, i singoli Stati hanno più autonomia anche i termini di risorse finanziarie da destinare a un intervento piuttosto che a un altro, in un certo senso un’impresa agricola si può avvantaggiare nei confronti degli altri Stati membri in finanziamenti su innovazioni tecnologiche, su competitività, quindi si può falsare il mercato. Quindi bisogna stare molto attenti. Il terzo tema riguarda proprio le sfide ambientali e sociali. Qui il tema è interessante, perché è vero che la nuova PAC definisce la volontà di sostenere le imprese che abbiano determinati requisiti, e quindi a favore dell’ambiente, ma è anche vero che queste risorse finanziarie probabilmente non sono tali da garantire ciò, né tantomeno il ricambio generazionale, che è un altro tema molto impattante per gli agricoltori, soprattutto nel contesto italiano. Infine, c’è un impatto sui piccoli agricoltor,i perché con l’aumentare delle tipologie di aiuti, evidentemente aumenta la complessità per richiedere questi aiuti. Ad esempio, a livello proprio europeo c’è stato un problema su una tipologia di aiuto chiamato eco-schema che genera molta complessità sia per gli organismi pagatori, sia per gli agricoltori che vogliono aderire a questa tipologia di aiuto. C’è anche qui una bella indagine finanziata da InfoPAC, condotta su 2.413 aziende agricole, quindi più o meno 2500, che evidenzia come effettivamente gli agricoltori risultino essere in difficoltà nell’accedere alle risorse. Ci sono tempi lunghi di erogazione, basti pensare che dal momento in cui loro fanno la domanda unica al momento in cui ricevono completamente il pagamento, può passare più di un anno e l’evidente carico amministrativo sproporzionato, probabilmente per quello che ci siamo detti poco tempo fa. Altro tema molto rilevante è il fatto di come sta il nostro sistema agricolo e quindi, da questo punto di vista, una rete di informazione agricola ha evidenziato nel 2020 che il reddito agricolo medio in Italia si attesta intorno ai 22.600 €. Considerate che il reddito medio, la media degli altri settori, è di 29.300 €. Questo che è per i 6.700 €, oggi non è colmato dagli aiuti, pilastro uno della PAC. Andando un po’ più nel dettaglio, per i tecnici, gli aiuti sono di vario genere. Nel 2024, l’aiuto di base, tecnicamente si chiama BISS, vale in media 2.300 € in Italia, l’aiuto accoppiato, tecnicamente si chiama CRISS, vale 650 €. Poi ci sono altre tipologie di aiuti dove il valore ancora all’epoca dell’analisi di ricerca non è stato evidenziato. Quindi è evidente che c’è questo gap. Ultimo tema che riguarda il mondo della PAC è il meccanismo di erogazione dei contributi. Perché è un tema? Perché l’Italia anticipa dei soldi, poi se li fa rimborsare dall’Ue. La differenza tra questi due valori, tra quanto dato all’Italia all’anno, parliamo di circa 7 mld, a quanto effettivamente poi rimborsa l’Ue, tecnicamente è una rettifica finanziaria. La rettifica finanziaria quindi sostanzialmente sono dei soldi che l’Italia ha anticipato ma nessuno le ridà. Quindi diventano soldi a carico dello Stato. Tutte le nazioni europee subiscono rettifiche finanziarie, di questo non ci dobbiamo spaventare. È il valore che in Italia negli ultimi 10 anni è stato sensibilmente più elevato rispetto ad altre nazioni, anche se confrontato con nazioni che dal punto di vista di ettari di terreno sono simili all’Italia, come la Spagna. L’Italia gira intorno, adesso gira intorno è un termine brutto, però mediamente ha rettifiche finanziarie per almeno 100 milioni di € l’anno, in alcuni casi, il 2021-2022 anche sensibilmente di più. È evidente che sistemi ex ante di controllo, magari più efficaci con Intelligenze Artificiali, come in alcuni paesi che già lo fanno – ad esempio i Paesi Bassi in questo sono maestri – riescono a far ridurre la rettifica finanziaria, riescono a far risparmiare soldi allo Stato.
Mi accingo verso le conclusioni. Esiste il modello ideale? Esiste un modello perfetto? No, non esiste, ce ne sono tanti e vanno tutti bene. Ad esempio, in Polonia hanno accentrato il processo amministrativo. Quindi i processi sono molto più allocati verso il governo, la parte ministeriale diciamo così, i processi sono standardizzati e si stanno informatizzando. Questo permette alla Polonia di avere un maggiore controllo delle risorse. La Germania, invece, in questo caso parlo di tutti i fondi, da anni va verso un modello in cui il pubblico e il privato lavorano insieme, praticamente si annullano i tempi di progettualità, elaborazione, esecuzione, come fosse un grade attore, i famosi partenariati pubblici-privati, che in Italia noi abbiamo, in alcuni settori, penso alla parte di infrastrutture soprattutto dei trasporti, ma che si pensava che con il PNRR si evolvessero ulteriormente, ma in questo momento, evidentemente, c’è ancora tanto da fare. Ancora, i Paesi Bassi, un po’ l’ho spoilerato prima, hanno digitalizzato qualsiasi procedimento, hanno informatizzato utilizzando anche tecnologie avanzate, come l’Intelligenza Artificiale, riescono, indipendentemente dal valore assoluto, ad avere un carico amministrativo snello, cioè i tempi quasi azzerati e anche grande capacità di controllo. Infine, mi piace raccontare la Spagna, sarà che mi piace perché immagino la Spagna molto simile all’Italia. La Spagna ha, negli ultimi 10 anni, avviato un processo di rinnovamento delle politiche sullo sviluppo rurale, con economie di prossimità e integrazione di servizi a valore aggiunto, che finalmente le hanno permesso di avviare questo cambio generazionale che da un punto di vista di sviluppo rurale è considerata una best in class. Da quanto ho raccontato è evidente che probabilmente non esiste un unico modello vincente, ma ce ne sono tanti, dipende un po’ dalla situazione, quindi il modello più interessante è quello adattabile. Abbiamo provato anche a capire quali potessero essere queste variabili che generano una geometria variabile e le variabili secondo noi possono essere di tre macro tipologie, interne alla pubblica amministrazione: quindi competenze. Fortunatamente, gli ultimi anni, grazie anche al PNRR, da questo punto di vista c’è un fortissimo piano assunzionale. Ancora però, se guardiamo l’indice DESI, il livello di alfabetizzazione informatica del personale della PA, continua ad essere mediamente basso, se confrontato a quello degli altri Paesi europei. Altro tema è il livello di burocratizzazione, fatevelo dire in maniera un po’ più informatica, è il livello di digitalizzazione di processi. È evidente che più andiamo verso la digitalizzazione, più il processo è snello, più è automatica la verifica, più siamo sicuri che non ci siano interstizi procedurali che generano inefficienza. E questo è il mondo della PA. Ovvio che i fondi strutturali non sono PA, anzi vanno verso l’imprenditore, vanno verso i cittadini, verso di noi, allora bisogna anche capire qual è il tessuto imprenditoriale di riferimento. Bisogna puntare su innovazione tecnologica spinta: parlo di grandi centri, ad esempio, industriali, delle città metropolitane. Parlo, ad esempio, dei poli industriali che si stanno iniziando a vedere. Allora lì bisogna continuare con l’innovazione tecnologica, l’Intelligenza Artificiale, etc etc. Mentre in aree, diciamo, un po’ più arretrate, l’attività deve essere più legata alla formazione, a mettere a disposizione le infrastrutture e allora gli esempi possono essere Matera, con il rinnovamento che c’è stato dal punto di vista culturale, può essere Lecce, se guardiamo la parte rurale. Se guardiamo invece la parte dei posti già avanzati, se vi ricordate tra le prime 50 regioni a livello europeo, una delle prime è Bolzano, dove si è già sviluppato un bellissimo centro industriale nell’ambito dell’energia. Chiudo con una frase di Italo Calvino, che a me piace molto, che dice: “la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano”. Perché mi piace questa frase? Perché alla fine la città siamo noi, il Paese siamo noi, sarà che ho un bambino di 2 anni e mi piace pensare che i nostri figli, quando guarderanno il loro palmo della mano, la vedranno ricca di linee, che sono asset strategici e noi siamo il motore di quel cambiamento. Noi siamo stati in grado quindi di sviluppare veramente asset strategici, economici, sociali e culturali. Grazie».
Salvatore Carfì: «Buongiorno a tutti, innanzitutto ringrazio il Prof. Fara, il Prof. Oliveti, e Giovanni, permettimi che non ti chiamo Dottore ché ci vediamo abbastanza spesso e facciamo dei ragionamenti e con te è sempre un piacere ragionare, soprattutto cercare di dare delle soluzioni per migliorare quello che tu appunto auspicavi, cioè un miglior futuro per i nostri figli. Perché è ovvio che, se riusciamo a mettere a terra delle politiche agricole più performanti alle esigenze del territorio e alla qualità dell’agricoltura, tutto sarà migliore. Quindi ringrazio ancora per quello che stai facendo, Giovanni, e continuiamo a lavorare insieme perché è un piacere. Innanzitutto, porto i saluti del mio Direttore, il Dott. Vitale, che è stato impegnato in una riunione con il Ministro Lollobrigida, quindi a me questo compito di cercare di rappresentare i ragionamenti che il mio Direttore voleva portare in questa tavola e a quest’evento. Il mio Direttore arriva in Agea a dicembre del 2022 e la prima cosa che ha chiesto a noi Direttori è di fare un’analisi d’impatto su quello che c’era. Abbiamo cominciato a lavorare e abbiamo presentato tutta una serie di debolezze. C’era una percezione distorta dell’Agenzia, che veniva messa al centro del problema, di tutti i problemi dell’agricoltura, una considerazione scarsa degli agricoltori, uno scarso impiego delle informazioni, perché il patrimonio di cui dispone Agea dagli ultimi 20 anni è unico in Italia, una lentezza, appunto burocratica, cui faceva riferimento Giovanni, dei problemi, degli errori, delle informazioni, che arrivavano in maniera differita dal territorio al centro. Per seguire un po’ il ragionamento che faceva Giovanni, in àmbito comunitario, quando esiste più di un organismo pagatore è obbligatorio avere un organismo di coordinamento, perché la Commissione Europea non vuole parlare con 21 soggetti, ma vuole parlare con un rappresentante dello Stato membro e per quanto riguarda le spese FEAGA e FEARS, l’unico interlocutore è Agea Coordinamento. Quindi si è posto questo problema, a rappresentare col dato appunto, le policy che venivano sviluppate da un punto di vista di controlli, da un punto di vista di pagamenti, cioè a livello nazionale. Siccome molti attori e stakeholders sono, partendo dalle regioni, a rimando di un organismo pagatore regionale per arrivare al centro, ognuno ha i propri sistemi informativi e quindi, per arrivare ad un dato in real time, ancora oggi c’è un problema. Abbiamo anche sviluppato una strategia per far sì che tutto sia su real time. Fatto ciò, il Direttore Vitale ci ha dato delle linee di indirizzo: primo, dobbiamo rinnovare; secondo, dobbiamo semplificare e terzo dobbiamo digitalizzare. Queste erano sostanzialmente le parole chiave nel compito che riguarda la Direzione, per quanto riguarda il rapporto con gli organismi pagatori. La Direzione informatica del collega Sofia qui presente e il Direttore dell’organismo pagatore che è quello che paga per le regioni dove non c’è un organismo pagatore, che in Italia sono 11 e che fanno capo ad Agea pagatore. Ma nella semplificazione e digitalizzazione siamo partiti dall’emergenza di crisi. L’emergenza di crisi è un aiuto comunitario che può essere anche cofinanziato e viene elargito agli agricoltori che sono stati colpiti da un evento atmosferico. La Dirigenza a suo tempo, la Dott.ssa Pace, insieme a me ha ragionato col Dott. Sofia su come possiamo automatizzare. Sono stati fatti dei ragionamenti, grazie all’indirizzo politico del nostro Direttore e abbiamo detto: quando avviene una calamità naturale, quell’area è circoscritta, delimitata. Allora, partiamo col delimitare quell’area, e con l’aiuto dei satelliti, con l’aiuto della Carta dei suoli – perché noi rappresentiamo ogni anno una mappatura del territorio, dell’uso del suolo, per un terzo del territorio, ogni anno, ogni 4 giorni, utilizzando Sentinel, Copernicus che sono satelliti che mette a disposizione la Commissione Europea, e ogni mese con una risoluzione c’è un metro e mezzo, perché abbiamo sviluppato un algoritmo di Intelligenza Artificiale sulle immagini Sentinel con risoluzione a 10 metri. Con questi 3 patrimoni informativi abbiamo delimitato l’area circoscritta dalla calamità naturale. All’interno di quell’area, noi sappiamo chi sono gli agricoltori, perché Agea detiene il fascicolo di tutti gli agricoltori d’Italia. In automatico abbiamo preso le informazioni, precaricato appunto la domanda automatica e presentate agli agricoltori. Caro agricoltore, noi sappiamo che tu stai in questa area colpita dalla calamità, hai 10 ettari ai fini del finanziamento di emergenza di crisi, 200 € a ettaro, hai diritto a 2000 €. A quel punto l’agricoltore dovrà solamente confermare con un click. La situazione in automatico è compilata su una proposta di aiuto. Per farla breve, un po’ come funziona oggi con il 730 pre-compilato. L’agenzia delle entrate pre-carica e tu confermi. A quel punto, non hai più problemi di controlli, di dispute e di discussioni. Quello lo abbiamo fatto e infatti, se ricordo bene, la Dott.ssa Pace qui presente può confermare, non abbiamo avuto una disputa, un ricorso. Quindi in 45 giorni dall’apertura del DM, noi abbiamo fatto i pagamenti, i controlli e nessuna disputa. Questo, Giovanni, è un po’ il ragionamento che tu facevi e che allora, a quel punto, la PA si innova, si mette in discussione e fa un servizio ai cittadini. Che sia un pagamento di aiuto comunitario o che sia un servizio è irrilevante, ma viene dimostrato che l’Amministrazione esiste, è celere, efficace e innovativa. A questo punto, non ci siamo fermati qua, perché abbiamo anche ragionato sulla lotta alle frodi, perché abbiamo visto che un altro punto di debolezza era quello, e allora abbiamo utilizzato un sistema che a partire dal 2025 diventerà su larga scala. Nel 2024 abbiamo fatto un pilota, il sistema Arakne, che è un sistema comunitario sviluppato con degli indicatori che sono 116 di rischio potenziali frodi. All’interno di questo applicativo sviluppato dalla Commissione Europea, vengono inseriti i beneficiari, e il sistema tira fuori i rischi degli indicatori. Poi abbiamo sviluppato un’altra piattaforma, che si chiama SAS, dove all’interno abbiamo filtrato i rischi veri, perché quelli sono potenziali indicatori. Con un altro step siamo riusciti anche a circoscrivere in dettaglio quali beneficiari sono veramente a rischio. Una volta fatta questa operazione, abbiamo creato un tavolo di lavoro, insieme alle Forze dell’Ordine, l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza, per fare il follow up dei dati che erano usciti fuori da questi sistemi, perché poi ci sono altre informazioni, il cosiddetto patrimonio informativo e le amministrazioni che non fanno parte delle Forze dell’Ordine e questa sinergia, questo gioco di squadra, ha permesso perlomeno di reprimere chi vuol provare a fare qualcosa perché sa che stiamo monitorando la situazione.
Un altro aspetto importante è il controllo di gestione interno. Ogni ufficio è funzionale ad un altro. C’è la Direzione è funzionale ad un’altra. Per fare un esempio, se io ho bisogno di un servizio, io ho il mio collega Direttore della Direzione informatica, che si occupa di fornirmi un servizio informatico sulla base delle caratteristiche di ciò di cui ho bisogno. Quindi, anche una sorta di gioco di squadra all’interno dell’Agenzia. C’è questo elemento che secondo me ha aiutato a sviluppare dei sistemi automatizzati di monitoraggio delle superfici del territorio. Come? Con la Carta dei suoli, come dicevo prima, o Sentinel ogni 4 giorni a 2,5 mt, con l’IA ogni mese. Questo ci permette di conoscere il territorio, perlomeno ogni mese. Cosa succede, che attività agricola, in maniera tale che possiamo programmare i pagamenti. Una procedura semplificata dei punti di riferimento, ma soprattutto la fiducia dell’Ue. Quando siamo arrivati insieme al Dott. Vitale, uno dei problemi che abbiamo trovato erano le rettifiche finanziarie a carico dell’Italia. Vi dico solamente, nel triennio 2020-2022, 1 mld e 200 milioni di € di proposta di rettifica finanziaria, che sto negoziando io, con la Commissione Europea, per far sì che venga ridotta sulla base della dimostrazione, della fiducia, che adesso si è elevata come Italia, nei confronti della Commissione Europea. Ma questo miliardo e 2 si aggiunge ai fondi di cui parlava prima Giovanni: sono le nostre tasse, c’è un danno all’erario. La Commissione europea applica una rettifica finanziaria che pagano non solo gli agricoltori, ma tutti noi, perché è un danno all’erario e questo è l’altro punto di debolezza, ma che abbiamo fatto diventare punto di forza. È fondamentale questo aspetto, perché altrimenti se noi paghiamo al buio, senza controlli, senza monitoraggio, rischiamo solamente che un bel giorno, la Commissione Europea ci viene a bussare e dire “hai pagato male, hai pagato con degli errori e pertanto mi devi rimborsare i soldi che hai speso in maniera non conforme al diritto comunitario. Un aspetto complesso che abbiamo rilevato e che stiamo cercando di risolvere è il processo tra l’agricoltore e l’agenzia di pagamento, tutti gli intermediari. Tra l’agricoltore e l’agenzia di pagamento io ho contato minimo 5-6 intermediari, quando, come diceva Giovanni, con la digitalizzazione, oggi il cittadino parla direttamente con l’Amministrazione. È ovvio che gli intermediari fanno anche un lavoro aggiuntivo, che è quello di chiedere titoli di conduzione all’agricoltore, e quindi archiviare queste pratiche affinché chi chiede un aiuto abbia un titolo di conduzione. Un titolo valido ai sensi del diritto nazionale. Quindi, alcuni attori sono anche importanti nel processo, ma dobbiamo capire e denunciare in maniera esplicita qual è il processo affinché, in maniera trasparente, l’agricoltore e il cittadino che hanno un problema sappiano a chi rivolgersi. Perché secondo me, un altro step che dobbiamo fare noi è pubblicizzare il processo e mettere a fianco chi è l’attore responsabile di quel processo, considerato il sistema ibrido cui facevamo riferimento, a differenza della Spagna e della Germania. Ogni comunità autonoma in Germania ha un’agenzia di pagamento regionale. In Italia siamo sempre i numeri uno: sistema ibrido, regioni dove hanno al Nord, in Toscana, a parte la Sardegna e la Calabria, il proprio organismo pagatore e tutto il resto in capo ad Agea. In forma sussidiaria, ma questo è un sistemo ibrido, perché il regolamento comunitario stabilisce così, sulla base della Costituzione dello Stato membro, che gli organismi pagatori devono essere organizzati o uno – come diceva appunto Giovanni – in Polonia, o uno per regione. Invece noi ne abbiamo fatto un modello ibrido, che diventa ancora più complesso da gestire.
Per concludere, l’agricoltura italiana è un settore chiave dell’economia nazionale. Secondo gli ultimi dati Istat, siamo al 9% del Pil, che spingiamo con tutte le forze e secondo me – ma questa è la mia opinione personale – in quel 9 % c’è anche un pezzettino di Agea, perché i finanziamenti comunitari, rapidi e celeri, fanno sì che entri reddito all’agricoltore e quindi produca anche la possibilità di poter investire, perché il discorso che facciamo noi in Agea è: essere rapidi nel rispetto delle regole comunitarie, che se diamo liquidità alle aziende agricole, loro possono investire. Altrimenti, si deve andare ad indebitare, o chi è più timoroso non investe perché dice: devo fare un altro mutuo con la casa? Quindi se siamo celeri, li mettiamo in un sistema finanziario che aiuta il processo. L’elemento chiave, non so se avete letto sulla Stampa, grazie al lavoro del Dott. Sofia, siamo passati sul PSN. Tutti i dati del patrimonio del SIEM, stanno adesso in cloud; prima avevamo un CED nello scantinato e dopo 5000 connessioni contemporanee andava giù. Adesso possiamo gestire 200 terabyte di informazioni, e parliamo adesso di un numero illimitato di gestione di utenze e di dati. Quindi abbiamo un patrimonio informativo dell’utilizzo del suolo, ogni mese, con una risoluzione a 2,5 mt dalle immagini, ogni 4 giorni con risoluzioni a 10 mt di Sentinel. Una volta ogni 3 anni, con la Carta dei suoli del territorio italiano, con una risoluzione a 20 cm. Quindi, con tutto questo patrimonio, io non so se possiamo parlare solamente di agricoltura o di tutte le policy di questo Paese: ambientali, infrastrutture, di altre policy che non sono agricoltura. Ma Agea può diventare il punto di servizio, mettiamola così, per le altre amministrazioni. Noi l’investimento lo abbiamo fatto, lo usiamo per lo scopo della nostra missione, ma possiamo metterlo a disposizione anche delle altre amministrazioni, perché avendo una informazione così accurata, così a livello temporale abbastanza aggiornata, secondo me, se io fossi anche un sindaco di un piccolo comune, avere la mappa del mio territorio mi farebbe solo che piacere per poter programmare eventualmente le policy. Agea ha una visione sistematica, strutturale, che sta basando la sua azione sulla gestione e messa a disposizione del patrimonio dell’informazione, che è ancora questo poco concepito. La settimana scorsa, è venuta l’ARPA siciliana, che sta facendo uno studio in Sicilia per quanto riguarda l’impatto ambientale, l’impatto climatico, e ha detto: “senza i vostri dati noi non possiamo mappare assolutamente nulla”, il discorso anche sulla siccità, per mappare tutti i corsi d’acqua, in modo tale da poter programmare azioni di bonifica, quando andare a fornire con le acque gli agricoltori, quindi una sorta di aggiornamento territoriale geospaziale – ricordiamo quest’ultimo termine perché è importante, perché una cosa è avere il dato numerico, una cosa è avere il dato geospaziale.
Un altro dato importante è la perdita, prima della venuta del Dott. Vitale, di circa 7 milioni di € all’anno di fondi comunitari, perché con la Carta dei suoli abbiamo scoperto di avere 3 milioni e mezzo di ettari non utilizzati. Li abbiamo nel sistema, ma quando andiamo ad incrociare i beneficiari con i richiedenti, scopriamo che non ci sono richieste di aiuto. Allora ci siamo domandati: perché? Saranno terre demaniali? Saranno terre comunali? Non lo so, ma dobbiamo dare un futuro ai nostri figli, ai nostri giovani e poter dire di assegnare queste terre, e produrre non sulla base del caso, ma indirizzare anche l’agricoltore a produrre sulla base delle informazioni sul territorio di cui siamo in possesso e poter puntualizzare e circoscrivere una policy. Pocanzi Giovanni parlavi del Piano strategico nazionale, dove sono contenute tutte le policy degli interventi. Se queste policy però non vengono fatte sulla base dei fatti, sulla base di un’analisi, ovviamente quando andiamo a pagare non in funzione di quello che è il territorio, ma soprattutto le esigenze del territorio. E non ci dimentichiamo che, a differenza degli altri Stati membri, l’Italia non è l’Olanda, dove è tutto piatto. L’Italia ha i suoi laghi, le colline, le pianure e chi più ne ha più ne metta e quindi, avendo un territorio morfologico abbastanza complesso, dobbiamo andare a mappare gli interventi a livello di policy in maniera performante in funzione delle esigenze del territorio, e non decisi perché lo chiedono le Lobby, perché magari così a caso poi non porta da nessuna parte. Io chiudo veramente con un motivo di orgoglio mio, ma soprattutto del mio Direttore, il Dott. Vitale. Anche quest’anno abbiamo presentato alla Commissione Europea il cosiddetto Annual Perfomance Report, che è la relazione annuale delle spese dell’esercizio finanziario e comunitario che contiene 9600 pagine, perché ogni intervento viene pesato con indicatore di input, di output e di risultato, cioè di impatto, e siccome la scadenza era il 15 febbraio, grazie al cielo era sabato e quindi si è spostata al 17 di febbraio, siamo stati tra i pochi Stati membri a presentare, come Agea Coordinamento, l’Apr nei termini comunitari, perché l’Apr non è altro che una rappresentazione delle spese sulla PAC effettuate dall’Italia sulla base del quale saranno effettuati dei rimborsi a favore dell’Italia. Grazie ancora dell’invito, è stato un piacere, e sarà sempre un piacere, grazie per l’attenzione».
Gian Maria Fara: «Ringrazio ancora il Dott. Carfì e i dati e le informazioni relativi all’impegno dell’Agea, specialmente sul fronte agricolo: sono stati estremamente interessanti. D’altra parte, l’agricoltura è uno dei motori attivi del nostro Paese. Come avete visto, noi siamo stati rapidissimi, non avevamo nessuna intenzione di sequestrarvi e programmare interventi per le prossime 3 o 4 ore. Due riflessioni rapide e veloci. A me colpisce molto un dato, che è riportato tra l’altro nella sintesi e nel comunicato stampa che l’Istituto ha messo a disposizione degli amici del mondo dell’informazione ed è il passaggio che riguarda l’analisi messa a punto dalla nostra Corte dei Conti, nel suo ultimo Rapporto, in cui si segnala come l’Italia abbia una delle percentuali più basse in Europa, dal punto di vista dell’utilizzo dei fondi. Altre nazioni, come la Polonia e la Spagna, nello stesso periodo, hanno raggiunto una capacità di spesa rispettivamente del 72% e del 65 % dei fondi messi a disposizione e questa lentezza non solo impedisce di sfruttare a pieno le opportunità, offerte dai fondi europei, ma espone il Paese al rischio di dover restituire le risorse inutilizzate, e non c’è niente di peggio insomma, che avere a disposizione risorse importanti e doversi preoccupare poi di doverle restituire perché non spese. Stiamo parlando, secondo i calcoli della Corte dei Conti, nel ciclo 2014-2020, di circa 5 mld di € che sono stati oggetto di ridefinizione o restituzione a causa di ritardi e inefficienze e su questo, secondo noi, bisogna lavorare. La mia sensazione è che questo Paese non abbia ancora maturato un adeguato grado di cultura burocratica e amministrativa. Noi italiani continuiamo a pensare che non dipenda da noi, tanto poi ci pensa l’Amministrazione. Non è esattamente così. È vero anche che gli utilizzatori, i possibili destinatari delle risorse, si trovano davanti ad una notevole complessità burocratico-amministrativa. Noi pure ci siamo interfacciati qualche volta con l’Ue, insomma dovresti assumere un paio di tecnici che si occupino solo dei rapporti con l’Ue perché è tutto estremamente complicato. Poi c’è un altro tema che forse abbiamo sottovalutato: l’arrivo del PNRR, che ha messo in ombra tutto il resto dei possibili finanziamenti. Il Paese si è lanciato a pesce sull’utilizzo dei fondi del PNRR e abbiamo, come dire, dimenticato di utilizzare fondi che c’erano magari da qualche anno prima del PNRR ed erano assolutamente disponibili. Noi lo abbiamo segnalato in altri periodi, in altri momenti e con altre ricerche. Crediamo che una delle possibili soluzioni per superare questo gap incredibile che danneggia complessivamente il Paese, sia la scoperta o la riscoperta di quelli che noi abbiamo chiamato PPP, Partenariato Pubblico Privato. Se Pubblico e Privato non imparano a collaborare insieme, a gestire insieme i processi e a godere dei vantaggi che questa gestione può produrre, non andiamo da nessuna parte. E invece noi continuiamo a pensare che il Pubblico sia il nemico e che il Privato in molte occasioni sia il bene. Non riescono a fare squadra e voi sapete meglio di me che se si marcia divisi non si va da nessuna parte, anche se sta ritornando di moda l’idea. Ho letto sui giornali ultimamente, la nuova teoria del marciare divisi e colpire uniti. Non voglio fare riferimenti di carattere politico o partitico di nessun tipo, dico solo che marciando divisi si rimane divisi. Grazie per la pazienza con la quale ci avete ascoltato. Buona giornata».
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