26 Marzo 2025
Digitalizzare una Pmi: i passi necessari per ottenere benefici concreti – Artser


Pmi e trasformazione digitale: una questione che ancora appare spinosa per non dire controversa. Da un lato, è innegabile che la digitalizzazione conduce a un incremento della produttività, competitività, efficienza. Dall’altro, una serie di fattori – dal difficile scenario macroeconomico alla stretta monetaria, da una radicata diffidenza alla non totale consapevolezza dei benefici derivanti dalla tecnologia – stanno rallentando il percorso. Secondo un recente studio di Confartigianato, nel 2024 la quota di imprese che hanno investito in digitale è risultata pari al 66,8%, inferiore di 4 punti rispetto al 2021 (70,8%). Il 22,5% delle piccole imprese presenta un indice di intensità digitale elevato, ma tale quota è inferiore di 5,8 punti alla media del Ue a 27.

Si aggiunge un elemento che richiede massima consapevolezza: spesso è elevato il rischio di acquistare strumenti tecnologici e sistemi evoluti, per esempio macchinari 4.0 e Crm per gestire le interazioni coi clienti, ma non ottenere risultati positivi. Anzi, può addirittura succedere che i preesistenti processi operativi ne risentano negativamente. Perché? Perché non è stato sviluppato un metodo, non è stata fatta un’adeguata formazione, non si sa come integrare fra loro i suddetti investimenti. Eppure definire un percorso di innovazione è meno difficile di quanto sembri. Bisogna solo procedere per gradi e nella direzione giusta. Ne abbiamo parlato con Gianluca Murgia, professore associato in Ingegneria Economico-Gestionale presso l’Università di Siena.

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Il primo passo è l’autoanalisi

Il primo passo verso la digitalizzazione delle imprese, spiega il professor Murgia, consiste nel «definire soluzioni effettivamente utili e fattibili per l’impresa». Esistono numerose tecnologie iper-avanzate, «tuttavia molte non risultano adatte e neppure applicabili a una determinata Pmi. È fondamentale capire quali siano le esigenze e i problemi che si possono risolvere per mezzo della trasformazione digitale, nonché definire le risorse disponibili. E procedere con un check up che permetta di capire quali dati l’azienda avrebbe a disposizione proprio grazie alla digitalizzazione».

Perché anche questo dev’essere chiaro: «La digitalizzazione è un processo che permette di formalizzare dati già presenti, per esempio quelli relativi a ordini e fatture, ordini. Diventa così possibile e semplice tracciare queste informazioni e capire cosa farne».

Integrazione tra macchinari e software 

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Avviare nel modo giusto la trasformazione digitale significa anche comprendere il rapporto tra macchinari e software. «Consideriamo un’azienda che utilizza un forno per la propria attività. L’adozione di software e sensori può essere molto fruttuosa, perché permette di elaborare i dati raccolti dalla parte hardware e poi trasmetterli ai sistemi di controllo e altri sistemi aziendali». La grande svolta dell’Industria 4.0 e delle nuove tecnologie digitali è stata proprio questa: «Prima le macchine raccoglievano dati che restavano isolati, ora è possibile integrarli tra loro». L’integrazione e la sincronizzazione dei dati consentono di monitorare costantemente l’avanzamento dei processi produttivi, individuare subito eventuali inefficienze e anomalie. E, di conseguenza, anche dare ai clienti risposte precise circa gli ordini e rispondere meglio alle loro esigenze.

L’importanza dei gemelli digitali

La raccolta e l’integrazione di sensori, dati e tecnologie avanzate tra cui quelle riconducibili all’Intelligenza artificiale permettono di creare i cosiddetti gemelli digitali. Che possiamo definire i protagonisti dell’Industria 4.0. In sostanza, i digital twin sono la copia virtuale di oggetti, prodotti, sistemi. Fedeli modelli che si aggiornano in tempo reale, fornendo feedback continui e perciò permettendo di tenere sotto controllo l’andamento dell’azienda, la produzione logistica, i processi interni ed esterni. Ma anche fare simulazioni.

«Poniamo il caso – continua Gianluca Murgia – di un imprenditore che voglia vedere cosa succede cambiando la velocità di un autotrasportatore. Farlo direttamente potrebbe essere rischioso, dunque si procede tramite il gemello digitale. Così è possibile scoprire quali sarebbero i risultati di tale cambiamento, se convenga oppure no. Senza correre alcun pericolo reale. Da questo punto di vista, la digitalizzazione dà molta più libertà alle imprese».

I principali ostacoli

Al di là della crisi economica e di tutti quei fattori esterni che indubbiamente hanno un peso, il professor Murgia individua alcuni grandi ostacoli alla digitalizzazione delle Pmi. Il primo è strettamente legato alla formazione dei dipendenti. Più precisamente, l’assenza di figure in grado di utilizzare strumenti tecnologici evoluti. Il fatto è che «spesso c’è un rimpallo di responsabilità. Gli imprenditori sostengono di non riuscire a trovare persone adatte e in qualche modo accusano i dipendenti di essere restii a imparare. I dipendenti, da parte loro, affermano che è l’imprenditore a fare muro, perché ne deriverebbero cambiamenti che non gli vanno a genio».

C’è da considerare, inoltre, «che la digitalizzazione permette una maggiore tracciabilità, che però impone una standardizzazione delle procedure. I sistemi informativi si basano su format predefiniti. Nello svolgimento di certe attività, quindi, si è più vincolati. E questo, insieme all’idea di cambiare ciò che si è sempre fatto, può essere vissuto come un fastidio dagli imprenditori ma anche dai dipendenti». La resistenza al cambiamento è nociva.

I consigli

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Alcuni consigli per le Pmi che decidono di intraprendere il percorso verso la digitalizzazione. «Ribadisco – dice il professor Gianluca Murgia – l’importanza di cercare soluzioni non troppo rigide e che siano compatibili con l’identità dell’impresa. Altrimenti si finisce per non utilizzare, ad esempio, quei determinati sistemi informativi e quei nuovi macchinari perché troppo distanti dal modo di fare business dell’azienda e dalle procedure interne. D’altra parte, bisogna tenere presente anche le tecnologie più flessibili comportano cambiamenti».

L’ideale, doveroso sottolineare anche questo, è che qualche componente del team interno possieda le competenze per padroneggiare gli strumenti prescelti. In alternativa, è bene rivolgersi a un esperto esterno «che sappia valutare sia gli aspetti tecnologici che quelli organizzativi, oltre a capire se una tecnologia sia utilizzabile o richieda ulteriori investimenti». Le tecnologie complementari e interconnesse sono un must della trasformazione digitale. Un altro esempio: «esistono strumenti di Intelligenza artificiale che migliorano la pianificazione e la produzione, ma per usufruirne occorre prima digitalizzare i dati della produzione». Se ci sono persone in grado di far capire i vantaggi derivanti dall’innovazione, anche gli imprenditori più ostili si convincono.

Un altro esempio concreto

«Immaginiamo un’impresa manifatturiera che utilizza macchinari per fondere metalli. Questi macchinari sono dotati di sensori che rilevano la temperatura e altre proprietà fisiche. Un passaggio utile può essere integrarli con un software di AI capace di elaborare i suddetti dati, fornendo così all’azienda molte più informazioni e quindi pianificare in modo più intelligente la manutenzione. Anche evitando rotture che comportano grandi spese e riducendo i consumi energetici».

Nadine Solano



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