26 Marzo 2025
il pressing delle aziende asiatiche




Una fuga in avanti? Oppure un (gigantesco) passo indietro, le cui conseguenze sono difficili da prevedere? La “partita” è delicata perché incrocia una serie di dossier caldi. Dall’alchimia, dall’equilibrio – o disequilibrio – di questi fattori dipende (anche) il nostro futuro.

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In Corea del Sud si sta combattendo una battaglia politica a colpi di piani governativi, pressioni e resistenze. Le associazioni dei produttori di chip stanno contestando il piano del governo che concede loro fino a sei mesi di esenzione speciale dalla legge nazionale sulla settimana lavorativa di 52 ore. Il motivo? Si tratterebbe di una finestra troppo limitata nel tempo. Le aziende chiedono di più: un’esenzione lunga almeno tre anni durante i quali ricercatori e lavoratori dell’alta tecnologia sudcoreana possano lavorare fino a 64 ore settimanali. La posizione dei produttori è stata sintetizzata dal presidente sudcoreano ad interim Choi Sang-mok: «Affinché la Corea possa superare i suoi rivali nella feroce concorrenza nel settore dei semiconduttori, è necessario consentire ai ricercatori di lavorare in modo più flessibile», ha detto. Tradotto: per giocare alla pari con giganti come la Cina, in un settore chiave dello sviluppo non solo economico ma anche militare, serve una mobilitazione che “sfondi” i perimetri tra vita lavorativa e vita privata. Sacrificando la seconda alla prima.

I motivi di inquietudine non mancano. Secondo un sondaggio di 39 esperti condotto dal Korea Institute of S&T Evaluation and Planning e riportato dal Korea Times, «la tecnologia dei semiconduttori della Corea è rimasta indietro rispetto a quella della Cina in tutte le aree chiave». Il settore dei chip, peraltro, è in continua espansione. «Il mercato globale dei semiconduttori – ha spiegato John Neuffer, presidente e CEO della Semiconductor Industry Association – ha registrato il suo anno di vendite più alto di sempre nel 2024, superando per la prima volta i 600 miliardi di dollari. Si prevede una crescita del mercato a due cifre per il 2025».
Gli investimenti sono giganteschi. Secondo il sito di informazione Nikkei Asia, nella prima metà del 2024, la Cina ha speso nella produzione di chip più di Corea del Sud, Taiwan e Stati Uniti messi insieme. Il rischio è che la corsa al primato – e alla produzione – si trasformi in una sorta di “militarizzazione” del lavoro. Una ricetta che le aziende vedono come obbligatoria. Peccato però che vada a toccare un nervo scoperto della società coreana, perché investe quel “lavorismo” sfrenato che, da sempre, è considerato uno dei pilastri (e al tempo stesso uno stigma) delle società iper-capitalistiche asiatiche. E che potrebbe sgretolare il sistema di 52 ore di lavoro settimanale, introdotto sotto la precedente amministrazione di Moon Jae-in nel 2018, proprio per ridurre le estenuanti ore di lavoro del Paese e garantire un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, e vissuta come una conquista da ampi settori della società sudcoreana.

Non a caso il principale partito di opposizione, il Partito Democratico della Corea, si è schierato al fianco dei sindacati nell’opporsi a qualsiasi tentativo di estendere l’orario di lavoro. «È impossibile avere successo nello sviluppo e migliorare la competitività industriale sacrificando i lavoratori», è la posizione espressa dal National Samsung Electronics Union, l’organizzazione dei lavoratori dell’azienda simbolo della Corea del Sud. Non solo. L’estensione dell’orario di lavoro collide con un’altra sfida che Seul sta affrontando: quella per invertire il trend demografico. Nonostante qualche timido segnale di ripresa – il tasso di fertilità è rimbalzato per la prima volta in 9 anni, salendo a 0,75 nel 2024 dallo 0,72 del 2023 -, la Corea del Sud deve fare i conti con una situazione drammatica che ha spinto alcuni studiosi a profetizzare che l’attuale popolazione del Paese – 51 milioni di abitanti – arriverà a dimezzarsi entro la fine di questo secolo.

«L’attuale tasso di fertilità costituisce un’emergenza nazionale», ha tagliato corto il governatore della Banca di Corea Rhee Chang-yong. «Se questa tendenza continuerà – ha insistito –, la Corea del Sud affronterà una crisi demografica irreversibile che minaccerà la stabilità economica e minerà la coesione sociale, comportando una crescita economica negativa prolungata dopo il 2050». Se sarà davvero così, lavorare 64 ore a settimana non servirà più a nulla.

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