
Dalle rendicontazioni pubbliche presentate dall’Italia a Bruxelles negli ultimi dieci anni emergono diverse criticità nell’utilizzo dei proventi generati dalle aste dell’Emission trading system, il meccanismo europeo di tassazione delle emissioni di Co2. Un report del think tank Ecco Climate segnala carenze nella pianificazione della spesa e nella trasparenza e tracciabilità dei proventi e dei fondi utilizzati. Risulta, infatti, che tra il 2012 e il 2024 le aste dell’Ets europeo abbiano generato per Roma proventi per 15,6 miliardi di euro, metà dei quali dovrebbero essere destinati alla lotta ai cambiamenti climatici. Ma dall’analisi emerge che il nostro Paese ha speso solo il 9% di questa quota.
Eppure il tema della lotta ai cambiamenti climatici è prioritario, a detta del governo Meloni e dell’Europa intera. Questi fondi non devono andare dispersi in misure emergenziali, come accaduto durante la crisi gas del 2021-22. Possono offrire un contributo significativo nel finanziamento delle politiche della transizione, permettendo a famiglie e imprese di investire in tecnologie alternative a quelle alimentate dalle fonti fossili.
Di questo abbiamo parlato con Roberto Prioreschi, SEMEA Regional Managing Partner di Bain & Company.
In che modo i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia per le imprese e il tessuto economico in generale?
«I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide più complesse per le aziende, incidendo profondamente sui loro costi operativi, sulla competitività e sulla capacità di pianificazione strategica. Secondo l’analisi che abbiamo presentato all’evento “Meet the Future of Energy”, l’impatto economico complessivo dei disastri ambientali ha già superato i 7.500 miliardi di dollari dal 2000. Questa cifra, in costante crescita, riflette i danni alle infrastrutture, le interruzioni nelle supply chain e l’aumento dei costi assicurativi, che colpiscono le imprese su scala globale. L’impatto dei cambiamenti climatici sulle imprese non si limita ai costi diretti, ma influisce anche sulla loro capacità di attrarre investimenti e talenti. Senza un piano chiaro per adattarsi alle nuove sfide ambientali, molte aziende rischiano di perdere fiducia da parte degli investitori e di dover affrontare un incremento della pressione da parte di regolatori e consumatori. Per evitare questi rischi, è cruciale un approccio strategico. Il cambiamento climatico non è solo una questione ambientale, ma una sfida economica che le imprese non possono più ignorare. Adattarsi significa ripensare il modello di business, investire in nuove tecnologie e adottare strategie di lungo periodo per garantire la competitività in un mercato in continua evoluzione».
Roberto Prioreschi, SEMEA Regional Managing Partner di Bain & Company foto ufficio stampa
A quanto ammontano ad oggi gli investimenti messi in campo per la lotta ai cambiamenti climatici in Europa, secondo Bain?
«Complessivamente, sommando i principali programmi di investimento dell’Unione Europea e della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), si può stimare un impegno finanziario di oltre 2.000 miliardi di euro fino al 2030 con vari strumenti (ad esempio New Green deal, Horizon Europe, Programma LIFE,…). Tuttavia, secondo noi, gli attuali investimenti previsti in Europa non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi climatici prefissati. È necessaria da un lato una significativa accelerazione degli investimenti in energia clean e infrastrutture correlate per colmare il divario esistente e garantire una transizione efficace verso la neutralità climatica, ma anche una revisione (nelle modalità e nelle tempistiche) dei meccanismi di allocazione dei fondi. Da ultimo, come sosteniamo da tempo, gli investimenti vanno letti anche in termini di ricadute sulle filiere industriali. Investimenti massicci e rifocalizzazione delle fonti impongono di integrate in piano energia e clima con un piano per l’industria. Anni fa settori strategici per la sicurezza hanno portato ad investimenti di sistema in Europa per tutelare know how e manifattura. Quali sono le filiere tecnologiche che saranno strategiche nei prossimi 20 anni e come possiamo assicurarci una adeguata “security”?»
Un contributo importante arriva dalle aste dell’Emission Trading System, il meccanismo europeo di tassazione delle emissioni di Co2. Mi spiega meglio di cosa si tratta?
«È un sistema di scambio di quote di emissione di gas serra, progettato per ridurre le emissioni in modo efficiente attribuendo un prezzo “di mercato” alla CO2, è operativo dal 2005 ed è stato a lungo il più grande al mondo. Funziona secondo il principio del cap-and-trade, in cui viene stabilito un tetto massimo (cap) alle emissioni totali consentite per settore industriale. Le aziende ricevono o acquistano quote di emissione e possono venderle se emettono meno CO₂ del loro limite, oppure acquistarle se superano il tetto assegnato. Questo meccanismo incentiva le imprese a investire in tecnologie più pulite per ridurre le emissioni».
L’ETS garantisce entrate importanti per le casse dello Stato. Tra il 2012 e il 2023 l’Italia ha ricavato complessivamente 15,6 miliardi di euro dai proventi delle aste…ma il Governo ha speso per la lotta ai cambiamenti climatici solo il 9% dei ricavi secondo un report del think thank Ecco Climate. Come mai questa carenza e cosa comporta?
«Il sistema ETS è un meccanismo nobile nelle intenzioni, ma solo parzialmente efficace nel guidare scelte industriali. Crediamo che nel tempo ci sia stata una forte tendenza verso un eccessivo ricorso a meccanismo “di mercato” quale strumento per ovviare alla mancanza di scelte di indirizzo industriale e politico. I proventi ETS vengo effettivamente impiegati a livello Europeo su iniziative collegate alla decarbonizzazione, ma con meccanismi spesso complessi e lunghi. Tuttavia, nel porre alcuni accenti sui punti di attenzione e debolezza degli attuali meccanismi, non va però dimenticato che la materia rimane molto complessa: La difficoltà non è solo nel normare situazioni e contesti nazionali molto diversi in termini di profili emissivi che rimane elevata, ma anche evitare che giuste ambizioni nel migliorare gli attuali meccanismi non porti a ritardi che non ci possiamo più permettere nel percorso di decarbonizzazione».
Come invertire la rotta per finanziare la transizione energetica, ridurre la dipendenza da fonti fossili e garantire competitività alle nostre imprese?
«In Bain & Company riteniamo che la transizione energetica sia una sfida cruciale, ma anche un’enorme opportunità per il sistema economico italiano. Oggi, per invertire la rotta e garantire un futuro sostenibile, servono azioni concrete che combinino governance strategica, capitali ed investimenti ed innovazione- tecnologica e di business. Primo, una governance strategica che da un lato consenta di poter gestire in modo ordinato ed efficace un processo complesso dalla pianificazione del sistema alla gestione delle autorizzazioni, dall’altro crei attraverso dei market design moderni le condizioni perche gli investimenti vengano fatti con un adeguato profilo di rischio/rendimento. Secondo, il capitale per gli investimenti è ampiamente disponibile, ma deve essere incanalato in modo efficace. I fondi privati hanno quindi un ruolo chiave, ma in Italia operano solo 60 fondi nel settore Energy & Natural Resources (con circa 100 società in portafoglio e un EBITDA aggregato superiore a 3,7 miliardi di euro). Ancora poco rispetto al potenziale in un settore con ampi margini di creazione del valore come quello delle energie rinnovabili e delle infrastrutture energetiche. Terzo, occorre spingere nuove tecnologie e nuovi business model su cui investire, dal momento che la transizione energetica non può avvenire senza un mix equilibrato di fonti. A fianco delle rinnovabili, avremo bisogno ancora bisogno di fonti affidabili (attuali come il gas naturale o prospettiche come il nucleare di nuova generazione), ma realizzate con modelli di business nuovi o tecnologie piu innovative come lo stoccaggio energetico (anche oltre a quello chimico) e l’efficienza energetica in ambito industriale/civile (ie motori elettrici di nuova generazione). Dobbiamo affrontare con urgenza la questione del costo dell’energia che è un elemento chiave per la competitività delle imprese italiane. Oggi le aziende italiane continuano a pagare l’energia più cara rispetto ad altri Paesi UE – come abbiamo sottolineato nei giorni scorsi anche in occasione dell’evento “Meet the Future of Energy”, e questo le penalizza gravemente».
In sintesi, conclude Prioreschi, la transizione energetica deve essere vista non solo come una sfida ambientale, ma come un’opportunità di crescita e innovazione per il nostro sistema economico. Se sapremo muoverci nella direzione e con la velocità giusta, l’Italia potrà diventare un leader europeo nell’energia sostenibile e garantire un futuro competitivo alle nostre imprese.
FOTO: SHUTTERSTOCK
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