
17.17 – domenica 30 marzo 2025
Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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** Immagine creata da redazione Opinione tramite Intelligenza artificiale – Chat Gpt **
Dopo una crescita del prodotto interno lordo (PIL) pari allo 0,5% nel 2024, va rivista al ribasso la stima per il 2025, portandola allo 0,7% rispetto all’1% ipotizzato lo scorso dicembre. La revisione è riconducibile in larga parte a un peggioramento del contesto internazionale, in particolare per i rischi legati all’agenda economica statunitense, che prevede un possibile irrigidimento dei dazi anche nei confronti dell’Unione europea. Tale scenario – in caso di implementazione aggressiva – potrebbe penalizzare l’export italiano e determinare un impatto negativo cumulato di circa tre decimi di pil sull’arco del biennio 2025-2026. In lieve miglioramento, invece, la proiezione per il 2026, che resta confermata all’1%, grazie al previsto rafforzamento della domanda pubblica interna ed estera e all’avvio più efficace degli investimenti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
È quanto si legge in un report del Centro studi di Unimpresa, relativo alle previsioni per il 2025. «L’Italia sta perdendo terreno sulla crescita, e rischia di affrontare il 2025 con un motore economico acceso a metà. Il pil rivisto al ribasso dallo 1% allo 0,7% è il segnale più chiaro di una rotta che va corretta con urgenza. Di fronte a uno scenario internazionale incerto, dominato da dazi e tensioni geopolitiche, non possiamo permetterci di viaggiare con il freno a mano tirato sul fronte interno. La domanda interna tiene, ma non basta. Gli investimenti produttivi delle imprese sono ancora troppo deboli, zavorrati da misure complesse e inefficaci, come il fallimentare pacchetto “Transizione 5.0”, che ha lasciato sul campo 5 miliardi di euro inutilizzati.
È inaccettabile. Bisogna mettere le imprese nelle condizioni di investire, innovare e crescere, con strumenti semplici, automatici e cumulabili. Serve una politica industriale vera, non spot elettorali con scadenza a tre mesi. Sul Pnrr, poi, è tempo di parlare chiaro: l’Italia ha speso meno della metà dei fondi europei ricevuti. Le continue revisioni del Piano rischiano di trasformarsi in un gioco di prestigio istituzionale, mentre i territori, i comuni, le imprese attendono risposte e certezze. Non è più il tempo della burocrazia difensiva: è il tempo dell’azione, del coraggio, della responsabilità.
Ci preoccupa anche il possibile aumento della spesa militare senza un chiaro bilanciamento con le priorità economiche. Nessuno mette in discussione la sicurezza e gli impegni europei e atlantici, ma se ciò comporta uno stop al percorso di riduzione del debito e un ritorno al deficit permanente, allora diciamolo chiaramente al Paese. Le imprese chiedono stabilità, non ambiguità» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il 2025 dovrebbe segnare una crescita annua del PIL dello 0,7% (rispetto allo 0,5% del 2024), sostenuta soprattutto dalla domanda domestica, con un’espansione media trimestrale dello 0,2%. Per il 2026, manteniamo invariata la stima di crescita all’1%, ipotizzando una possibile distensione dei dazi statunitensi dai livelli di picco, un’accelerazione nell’attuazione del Pnrr e spillover positivi derivanti da una maggiore spesa pubblica nei principali partner commerciali, Germania in primis.
A questi fattori si aggiungono il supporto dell’allentamento monetario e un lieve effetto positivo dall’espansione fiscale tedesca a partire dal prossimo anno, pur in presenza di una politica fiscale domestica più restrittiva. Il sostegno alla crescita nel 2025 dovrebbe derivare in via principale dalla domanda interna. I consumi delle famiglie beneficeranno ancora dell’aumento del potere d’acquisto: le retribuzioni contrattuali sono attese in crescita del 3,1%, a fronte di un’inflazione contenuta, determinando un incremento del reddito disponibile reale pari all’1% (dopo il +2,6% del 2024).
Di conseguenza, il tasso di risparmio dovrebbe tornare a scendere (all’8,7% nel 2025 e all’8,3% nel 2026), pur mantenendosi su livelli superiori a quelli del 2023 (7,8%). Tuttavia, i consumi cresceranno in misura più contenuta rispetto alle previsioni precedenti: Unimpresa rivede al ribasso la stima sull’aumento dei consumi nel 2025, all’1,1% dal precedente 1,8%, a causa dell’incertezza internazionale che incentiva comportamenti di risparmio precauzionale. Particolarmente dinamica potrebbe rivelarsi la spesa per servizi, ancora sotto i livelli pre-pandemici (-0,8% rispetto al 2019), mentre per i beni durevoli si prevede una lieve ripresa favorita dal graduale allentamento monetario.
Il quadro degli investimenti resta eterogeneo e soggetto a rischi. Per il comparto delle costruzioni si conferma la divergenza tra un settore residenziale in calo – penalizzato dalla riduzione dei bonus edilizi – e un comparto non residenziale in crescita grazie all’avanzamento delle opere pubbliche legate al Pnrr.
La previsione per il 2024 è di una flessione complessiva, seguita da un rimbalzo nel 2025, con la spinta trainante delle infrastrutture pubbliche. Gli investimenti in beni strumentali hanno mostrato segnali positivi nell’ultimo trimestre del 2024, con un rimbalzo del 3,2% su base congiunturale dopo un anno intero di flessioni. Tuttavia, l’effetto frenante del fallimento iniziale del pacchetto “Transizione 5.0” ha pesato sull’andamento complessivo. Alla data del 10 marzo 2025, solo 500 milioni su 6 miliardi di euro risultano prenotati: il governo ha quindi deciso di riallocare metà delle risorse verso altre forme di incentivo più attrattive, ancora da definire.
Tale scelta, congiuntamente alla discesa dei tassi di interesse, potrebbe ridare slancio alla spesa in conto capitale delle imprese, al netto del comparto trasporti, per il quale si attende una nuova contrazione. Secondo i dati disponibili a fine 2024, la spesa effettiva del Pnrr si attesta a 58,6 miliardi su oltre 122 miliardi ricevuti dall’Unione europea, cui si aggiungeranno a breve i 18,2 miliardi della settima rata. Il governo, pur riconoscendo i ritardi, ha adottato nuove misure per velocizzare i trasferimenti ai soggetti attuatori.
Tuttavia, le stime sull’impatto macroeconomico sono state ridimensionate: la Bce ha stimato a dicembre un effetto tra 0,9% e 1,9% sul pil a fine 2026. Adottando ipotesi prudenti – metà della spesa effettivamente aggiuntiva e un moltiplicatore pari a 0,5 – Unimpresa stima un impatto sulla crescita annua di circa 0,3% nel 2025 e 0,4% nel 2026. Permane l’incertezza legata alla governance del piano e al destino delle opere non completate entro il 2026. Una delle opzioni allo studio prevede la creazione di un fondo separato per garantire la prosecuzione selettiva dei progetti più strategici, anche oltre la scadenza originaria, evitando un completo rifinanziamento con fondi nazionali.
Sul versante della finanza pubblica, il disavanzo 2024 si è attestato al 3,4% del pil, meglio delle attese (3,8%). Il risultato positivo deriva principalmente da entrate superiori al previsto, legate alla dinamica dell’occupazione e dei redditi. In assenza di nuovi stimoli fiscali, il deficit potrebbe scendere vicino al 3% già nel 2025, anticipando di un anno il target governativo (3,3%).
Resta sul tavolo la questione della spesa militare: l’Italia spende attualmente circa 30 miliardi l’anno (1,5% del pil) e potrebbe ricevere fino a 20 miliardi di prestiti europei nell’ambito del piano ReArm Europe. Tuttavia, anche utilizzando per intero queste risorse, la soglia del 2% del pil resterebbe fuori portata. Portarsi al 3% implicherebbe ulteriori 90 miliardi di spese in cinque anni, con un inevitabile impatto negativo sulla traiettoria di riduzione di deficit e debito. Un percorso ritenuto poco probabile, sia per ragioni politiche che per evitare tensioni con i mercati finanziari e le agenzie di rating.
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