
L’Unione europea decide di puntare tutto sul riarmo, e i fondi pensione colgono la palla al balzo. Allentando silenziosamente le politiche che finora li avevano portati a escludere dai propri portafogli i titoli dei produttori di armi. Con buona pace dei lavoratori che, magari, non immaginano nemmeno come siano investiti i loro contributi o il loro Tfr.
Quanti italiani aderiscono alla previdenza complementare
In Italia la scelta più comune per i lavoratori dipendenti è quella di lasciare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) in azienda. Tra il 2007 e il 2023, rivela un’analisi di Moneyfarm, circa 98 miliardi di euro sono stati destinati al Fondo di tesoreria dell’Inps (per le società medio-grandi) mentre 242 miliardi si trovano nei bilanci o nel circolante delle imprese con meno di 50 dipendenti (che nel nostro Paese sono la stragrande maggioranza). Restano 97 miliardi, cioè il 22% del totale, che sono invece stati conferiti a una forma di previdenza integrativa. Dopodiché, ci sono i contratti collettivi nazionali o gli accordi aziendali che prevedono che a versare un contributo aggiuntivo sia il datore di lavoro. O ancora, i lavoratori dipendenti o autonomi che versano contributi volontari a un fondo pensione per sentirsi più tutelati.
Scelte che il governo stesso caldeggia nel momento in cui – con la legge di bilancio 2025 – fa valere anche le rendite dei fondi pensione per raggiungere la soglia minima necessaria per accedere alla pensione anticipata. In tutto, alla fine del 2023 9,6 milioni di italiani erano iscritti ad almeno una forma di previdenza complementare. Nel corso dell’anno hanno versato complessivamente 14,7 miliardi di euro in contributi (il 5,7% in più rispetto al 2022). Sempre alla fine del 2023, i fondi pensione avevano accantonato 222,6 miliardi di euro, una cifra che aumenta dell’8,2% rispetto all’anno precedente. I dati sono della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip).
I fondi pensione che investono nei produttori di armi
Aderire a un fondo pensione significa dargli mandato di investire nei mercati finanziari i soldi dei contributi volontari o del Tfr. In Europa da diversi anni questi soggetti si sono allontanati dal settore delle armi, ritenendolo controverso. Ma il clima è decisamente cambiato, sottolinea un’analisi di Bloomberg. A partire da Stichting Pensioenfonds ABP, il fondo pensione dei dipendenti pubblici, degli insegnanti e dei poliziotti dei Paesi Bassi. Il più grande in Europa e tra i primi al mondo, con i suoi circa 500 miliardi di euro in gestione. Stichting Pensioenfonds investe già nelle società della difesa, ma non si accontenta e promette di incrementare questa esposizione.
Intanto, il fondo pensione danese AkademikerPension (20 miliardi di euro in gestione) si prepara a chiedere ai suoi 150mila membri il via libera per disfarsi di alcune restrizioni. Come il divieto di investire in aziende che producono bombe a grappolo e altre armi controverse. «È una lotta per la democrazia e senza democrazia non esistiamo. In questo momento, è un problema esistenziale», dichiara il numero uno del fondo, Jens Munch Holst. PFA Pension, sempre danese, vuole tornare a investire nelle aziende che costruiscono componenti per gli armamenti nucleari.
E in Italia? IlFattoquotidiano.it ha interpellato i principali soggetti della previdenza complementare: Cometa per il settore metalmeccanico, Previndai per i dirigenti industriali, Allianz, Intesa Sanpaolo. Tutti hanno dato risposte simili, assicurando di essere in linea con la legge 9 dicembre 2021 che vieta di finanziare i produttori di mine antipersona e bombe a grappolo. Non pongono però veti espliciti sulle armi convenzionali.
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