3 Aprile 2025
Il declino dell’europa franco tedesca


Poste italiane compra il 15% di Tim e diventa con il 24,81% delle azioni ordinarie primo azionista della società italiana di telecomunicazioni.

I francesi di Vivendi sono praticamente fuori dal capitale. A quasi trent’anni dalla privatizzazione Tim torna italiana. Sfuma il sogno francese di fare del settore telefonico il perno di un’operazione di acquisizioni che avrebbe suggellato il controllo francese di punti strategici dell’economia italiana. Vivendi aveva acquistato quote significative anche di Mediobanca, che a sua volta è azionista di riferimento di Generali. Anche Borsa Italiana è finita 2021 nella rete francese di Euronext con sede a Parigi. L’idea è di creare un rapporto federale dove ogni entità finanziaria mantiene la sua identità. Con la digitalizzazione del mercato primario o l’evoluzione delle piattaforme di trading c’è il rischio che le scelte strategiche siano compiute fuori dall’Italia con il risultato di rendere la Borsa di Milano periferica.

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Lo stesso dicasi con le banche che con Crédit Agricole hanno acquistato a suo tempo Cariparma per finire giusto in questi mesi con il Credito Valtellinese. Del resto nella distinzione che sulle carte geografiche si fa tra nazioni continentali, insulari e mediterranee alla Francia è riservato uno status particolare. L’hexagone è sui generis e comprende tutte e tre le dimensioni, l’atlantica compresa, su sei lati. Da sempre i francesi si intendono come la quint’essenza dell’Europa, una nazione che raggruppa in sé le tre anime del continente: quella neolatina, quella celtica e quella germanica. Ed è su questo retaggio che l’Italia del Nord è spesso equivocata come il proseguimento celtico della Gallia transalpina.

Quando Emmanuel Macron dice Europa intende soprattutto la Francia e la Germania, il resto, ovvero quello che Napoleone chiamava «l’intendance», seguirà. Da qui quel senso di “grandeur” che accompagna le loro sortite internazionali. L’ultima quella dei volenterosi che in accordo con i britannici intendono inviare truppe in Ucraina e confondono le ambizioni nazionalistiche con la necessità inderogabile di una difesa europea. Un terreno scivoloso che con la discesa in campo dei tedeschi nel riarmo nazionale diventa un fattore di divisione. Le sfide dell’economia si stanno trasferendo nel settore militare. La ritirata francese dall’Italia e la crisi del settore automobilistico tedesco segnano il declino dell’Europa franco-tedesca.

Ma mentre a Parigi dubitano del futuro, in Germania la solidità finanziaria fa ancora premio. Seicento miliardi messi a disposizione della Bundeswehr creano una differenza troppo marcata con gli altri eserciti. E poiché l’America si ritira dai suoi impegni europei saranno i tedeschi a riempirne il vuoto. A Parigi lo sanno e chiedono che le spese militari siano coperte con finanziamenti europei a fondo perduto. L’Italia non ha soldi e non ha ancora raggiunto il 2% del pil per la difesa. È suo interesse nazionale muoversi nell’ottica in un esercito comune europeo, finanziato da fondi europei. Certo va bandita ogni pretesa di egemonia. Parlare di difesa e sottintendere come fanno i francesi e i tedeschi che a loro spetta la guida è fuorviante.

Troppo grandi e invadenti sono gli antagonisti Russia, Cina, Stati Uniti per poterli affrontare da soli con ambizioni nazionalistiche. Al governo di Roma il compito di farlo capire ai suoi partner. Ad una condizione: uscire dall’ambiguità. L’America sta prendendo strade diverse e seguirla non è sempre possibile. Meloni prima o poi dovrà arrendersi all’idea che il suo mentore Trump se invade la Groenlandia fa gli interessi americani ma non quelli europei. Prendere l’iniziativa in Europa è quindi l’ imperativo categorico che attende l’Italia.

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