
I dazi imposti da Donald Trump sono caduti come bombe sulle Borse mondiali, distruggendo solo in Piazza Affari miliardi di capitalizzazione e di risparmi delle famiglie italiane. Vediamo allora, sulla base dei documenti pubblicati dalla stessa Amministrazione Usa, quali sono in concreto le merci più colpite dalla guerra commerciale scatenata da Washington.
La premessa è che dal 5 aprile gli Stati Uniti impongono una tariffa del 10% ai prodotti provenienti da tutti i Paesi che arrivano ai propri confini, dal 9 aprile scatta poi un dazio aggiuntivo del 10% per i container spediti dall’Unione Europea. Tutti i prodotti del Vecchio Continente subiscono quindi una maggiorazione del 20%.
Si tratta infatti di dazi aggiuntivi che, quindi, non sostituiscono ma si sommano alle aliquote pre-esistenti. Uno tsunami davanti al quale il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già proposto la sospensione del Patto di Stabilità.
Il piano del governo Meloni è infatti quello di sfruttare la guerra commerciale in corso per cambiare le regole su cui ora si regge l’Unione Europea, a partire dalla follia del green deal che ha distrutto l’industria dell’auto prima all’avanguardia.
A complicare ulteriormente in quadro è poi il fatto che non sempre vale la regola generale, è quindi opportuno che ciascuna impresa verifichi caso per caso con il proprio spedizioniere, con i consulenti doganali di fiducia o direttamente allo U.S. Customs and Border Protection.
Insomma è un gran pasticcio. Ci addentriamo allora nel labirinto tariffario imposto da Trump, utilizzando come bussola la nota informativa predisposta dall’Ice per le imprese del made in Italy che esportano Oltreoceano.
Partiamo dalle categorie merceologiche colpite dai dazi e chiariamo subito che la Casa Bianca non ha considerato i codici Ateco in vigore in Italia, ma l’Harmonized Tariff Schedule (HTS) Code, cioè il codice di riferimento delle Dogane Statunitensi per le merci all’ingresso.
Al momento, si legge nella nota informativa dell’Agenzia governativa che si occupa di promuovere le nostre imprese all’estero, non risultano colpite dalle nuove aliquote le seguenti categorie di prodotti:
- settore automobilistico (HS code 8701 – 8702 – 8703 – 8704 – 8705) e loro componenti (8407 – 8408 – 8511 – 8706 – 9401.20 – solo alcuni codici all’interno della categoria 8708) su cui già si applicano le nuove aliquote su acciaio ed alluminio;
- prodotti farmaceutici (HS code 3001 – 3002 – 3003 – 3004 – 3005);
- rame (HS code 7401 – 7402 – 7403 – 7404 – 7407 – 7408 – 7409 – 7411 – 7413 – 7419)
- semiconduttori (HS code 8541 – 8542);
- componenti e ricambi di settori strategici statunitensi (aerospaziale (HS code 8802 – 8803 – 8805), difesa (HS code 9301 – 9302 – 9305 – 9306 – 8526.91 – 9014.80 – 9014.20)) che rientrano in specifiche esenzioni;
- alcune materie prime non disponibili in quantità sufficiente sul mercato interno statunitense, come determinati minerali e terre rare;
- legname (HS code 4403 – 4407 – 4412 – 4410 – 4411 – 4406 – 4404 – 4409 – 4415).
L’elenco dettagliato dei prodotti che sono stati “graziati” dalla mannaia lasciata cadere il 5 aprile dall’inquilino dello Studio Ovale è disponibile nell’Allegato II dell’Ordine Esecutivo 14256 firmato dal presidente americano.
Va poi tenuto conto che Trump ha confermato o introdotto gabelle doganali differenziate per alcune categorie di prodotti. In particolare per acciaio e alluminio i dazi restano rispettivamente invariato del 25% e 10%.
Semilavorati tecnologici potrebbero invece essere soggetti ad aliquote diverse (tra il 10% e il 15%). Il principio che a seconda del contenuto tecnologico e della rilevanza sulla sicurezza nazionale statunitense.
Non solo Washington si tenuta le mani libere, per apportare modifiche e altri aumenti temporanei ai dazi in vigore sempre solo a seconda delle proprie esigenze. Le imprese devono quindi restare aggiornate consultando la sezione Tariffa Doganale degli Stati Uniti (Harmonized Tariff Schedule – HTS).
In sostanza, le imprese italiane che vendono le proprie merci sul mercato americano devono prima verificare come sono classificate le proprie merci secondo i codici HS, così da avere chiaro se sono state modificate le aliquote. Il secondo passo è accertarsi, tramite gli accordi Incoterms di consegna al cliente se il dazio è a carico del produttore o del cliente. Quindi coordinarsi con spedizionieri e dogane per il saldo, stare in guardia che non si presentino eccezioni o che Trump non cambi le carte in tavola.
Il protezionismo è servito. E con lui le pastoie burocratiche, le scartoffie e i costi aggiuntivi. Trump ha già detto di essere pronto anche ad accettare una momentanea crisi dell’economia americana pur di ripartire poi con più forza. Il presidente Usa tra un anno e mezzo dovrà affrontare le elezioni di metà mandato.
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Nella speranza che tutto questo non si traduca in una recessione mondiale, alle imprese non resta che tenere d’occhio il il sito ufficiale della United States International Trade Commission per trovare l’ultima versione dell’Harmonized Tariff Schedule of the United States.
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