14 Aprile 2025
«Più dirigenti nelle pmi ma troppo gap con l’Ue»


«Ci sono sempre più manager nelle piccole e medie imprese, soprattutto donne. Sono funzionali a migliorare la produttività, ma il gap con gli altri grandi Paesi Ue è ancora troppo ampio». Marco Ballarè è il presidente di Manageritalia. In occasione dell’80° anniversario, l’associazione sta organizzando da mercoledì scorso una serie di eventi e dibattiti per valorizzare il ruolo dei dirigenti e promuovere discussioni sulle sfide del management nel nostro Paese.
L’Italia è un paese di pmi, spesso a gestione familiare. I manager sono ancora minoranza?
«Sì, ma in crescita. Parliamo non dei top manager, ma dei dirigenti che guidano i processi in tutte le organizzazioni strutturate. Secondo gli ultimi dati (del 2023) i manager privati italiani sono cresciuti del 2,6% in un anno: un dato che rafforza la crescita dei quattro anni precedenti, dopo il forte calo (-5%) del decennio 2008 – 2018. Con le crisi si è cominciato a invertire la rotta, anche se nelle pmi è ancora faticoso il passaggio generazionale: l’imprenditore spesso ritiene i figli non capaci di gestire patrimoni e aziende».
Le donne manager crescono?
«Sì, più degli uomini. L’aumento del 2,6% è dovuto a un incremento del 5,1% delle donne e dell’1,9% degli uomini. Si conferma quindi la forte rincorsa verso la parità delle donne dirigenti, cresciute del 101,5% dal 2008 al 2023».
Ma siamo indietro in Ue.
«Purtroppo l’Italia è molto sottomanagerializzata rispetto ai principali competitor. Ci sono 0,9 dirigenti ogni 100 lavoratori dipendenti, mentre sono tra il 2 e il 3 in Francia, Germania e Spagna. A livello territoriale, poi, c’è disuguaglianza: il Sud è allo 0,2-0,3 contro l’1,7 della Lombardia e il 2,5 di Milano. Da noi solo il 30% delle imprese familiari ha manager esterni, contro l’80% nei più avanzati paesi Ue. Una delle cause della nostra ancora bassa produttività».
I compensi dei manager sono diventati competitivi rispetto a quelli europei?
«In molti casi no. Oggi il ceto medio e medio-alto è il motore fiscale italiano. Il 15% di questa fascia (tra cui tanti dirigenti) contribuisce al 64% dell’Irpef. Ci vuole una riforma fiscale che li aiuti e aiuti la crescita. Il governo acceleri sul taglio della seconda aliquota Irpef».

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