16 Aprile 2025
Meloni sacrifica il clima per non perdere il consenso dei piccoli imprenditori


Martedì 8 aprile, prima che Trump annunciasse la sospensione di parte dei dazi introdotti nei giorni precedenti, Giorgia Meloni ha fatto una promessa importante agli industriali italiani. 

Durante un incontro a Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio ha annunciato di voler destinare trentadue miliardi di euro alla creazione di un fondo di supporto per le imprese più esposte alla guerra commerciale scatenata dalla Casa Bianca. Undici miliardi proverranno dal Fondo di coesione, quattordici dovranno essere ricavati attraverso una riformulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e sette mobilitando tutte le risorse legate al Piano (o Fondo) Sociale per il Clima.

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Ancora una volta, sembra che il governo scelga di rispondere a difficoltà derivanti dalla congiuntura economica e dai disequilibri internazionali togliendo forza e risorse al Green deal e, in generale, a tutte le politiche europee volte alla transizione ecologica ed energetica. 

È stata infatti immediata la reazione delle associazioni ambientaliste, che si sono opposte in particolare allo spostamento di fondi dal Piano Sociale per il Clima e dal Pnrr, criticando non solo l’opportunità, ma anche la fattibilità di una soluzione di questo tipo. 

Il jolly dei sette miliardi 
Il giorno successivo alle dichiarazioni di Meloni, in un comunicato stampa congiunto, Wwf, Greenpeace, Legambiente e Cgil insieme ad altri gruppi hanno spiegato che, secondo le regole stabilite dall’Unione europea, non sarebbe possibile usare i soldi destinati al Piano Sociale per il Clima per fini diversi da quelli previsti. 

«Modalità e destinazioni devono essere preventivamente concordate con la Commissione Europea – scrivono le associazioni – attraverso un Piano da presentare entro giugno di quest’anno. Del tutto fuori luogo, poi, impiegarli per far fronte a un’emergenza, quindi per interventi immediati». 

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Non solo. Il comunicato ricorda come tempo fa questi stessi sette miliardi fossero già stati usati dal governo come un jolly da tirare fuori nei momenti difficili: erano stati infatti citati anche come parte del Decreto Bollette. «Al ministero dell’Economia e delle Finanze forse non sanno cos’è il Social climate fund – commentano Wwf e gli altri – oppure fingono di non saperlo».

In effetti, è difficile immaginare come Meloni – pur impegnandosi nelle trattative con la Commissione europea – possa riuscire a muovere tutto il denaro stanziato per il Piano, soprattutto a causa dei tempi stretti dell’operazione. 

Il Piano sociale per il clima è infatti uno strumento voluto dall’Unione europea per mitigare i costi della transizione ecologica, in particolare nei confronti di micro imprese e famiglie vulnerabili alla povertà energetica e di trasporto. Serve, in poche parole, a evitare che il contrasto alla crisi climatica – soprattutto le misure legate all’estensione del sistema di scambio delle quote di emissione (Ets) ai settori del trasporto su strada e del riscaldamento degli edifici – finisca per penalizzare chi ha meno mezzi. 

Per realizzare questo obiettivo, i Piani sociali per il clima dei vari Stati europei comprenderanno due tipi di azioni: da una parte, verranno progettati interventi di sostegno agli investimenti necessari per la transizione (si parla, ad esempio, di finanziamenti per l’efficienza energetica o sulla mobilità sostenibile), dall’altra saranno avviate misure temporanee per integrare il reddito dei soggetti più fragili.

Proprio a marzo di quest’anno, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva svolto le consultazioni pubbliche sul testo del Piano, che ora dovrà essere inviato entro il 30 giugno 2025 alla Commissione europea. Il documento diventerà poi operativo solo nel 2027, e ogni Paese dovrà garantire un contributo obbligatorio del venticinque per cento del costo totale delle misure presentate nel proprio piano.

Svuotare il Pnrr
In parallelo, il think tank per il clima Ecco si è espresso anche sulla possibilità di una rimodulazione del Pnrr per ricavarne ulteriori quattordici miliardi. Secondo il direttore esecutivo Matteo Leonardi, «l’utilizzo dei fondi europei del Pnrr e del Green deal per aiuti alle imprese non è giustificato se l’Europa prometterà di importare più gas americano nella trattativa sui dazi. Questi fondi sono destinati proprio all’emancipazione dell’Europa dalle dipendenze energetiche e specificatamente dal gas, il cui costo ha trainato l’inflazione e il debito pubblico degli ultimi anni».

Per quanto non siano ancora trapelati dettagli maggiori, Meloni ha infatti parlato di una riformulazione del Pnrr che dovrebbe interessare direttamente le misure che nel Recovery fund italiano riguardano transizione, energia e ambiente. Proprio in coda all’incontro dell’8 aprile, la premier ha ricordato che le aziende chiedono, tra le altre cose, «una proroga delle scadenze del Pnrr e un allentamento del Green deal». 

Questa modifica andrebbe a sommarsi alle ultime quattro revisioni volute dal governo italiano sul Pnrr, da una parte complicando ancora di più il monitoraggio sull’avanzamento dei progetti e sul rispetto degli obiettivi stessi del Recovery fund in materia ambientale, dall’altra indebolendo la strategia complessiva dell’Italia sul fronte della lotta alla crisi climatica. 

Conto e carta

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Un Pnrr meno efficace su questo fronte e un Piano sociale per il clima completamente “riallocato” si sommerebbero così ad un Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico (Pnacc) inefficace e, soprattutto, escluso dall’ultima legge di bilancio.



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