Con la risposta a interpello n. 101, pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate ha affermato l’applicazione dell’art. 165 comma 10 del TUIR sull’imposta pagata in Francia in relazione alla plusvalenza realizzata su una partecipazione in una società francese detenuta da una società residente in Italia, imponibile in entrambi gli Stati in forza del Protocollo alla Convenzione, pur se in modo parziale, avendo beneficiato della participation exemption sia in Italia (art. 87 del TUIR) che in Francia.
In particolare, secondo l’art. 165 comma 10 del TUIR, se il reddito estero concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.
Questa previsione deve essere coordinata con l’art. 24 par. 1 della Convezione contro la doppia imposizione stipulata tra Italia e Francia, per il quale, in sostanza, il contribuente italiano detrae l’imposta sui redditi pagata in Francia, ma l’ammontare di tale detrazione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile agli elementi di reddito di fonte francese nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo.
La problematica sottesa dall’interpello era, in sostanza, quella del possibile superamento della limitazione prevista dalla norma nazionale in forza del Trattato (tema che inizia a interessare in modo crescente le Corti di Giustizia tributaria).
Il responso dell’Agenzia delle Entrate è negativo, sulla base di quanto indicato dal § 3 del Commentario all’art. 23 B del modello OCSE, secondo cui l’ammontare del credito non può essere maggiore della quota di imposta italiana attribuibile ai redditi prodotti all’estero e ivi tassati nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo.
Tali disposizioni convenzionali, continua la risposta, sono coerentemente recepite nell’ordinamento italiano attraverso i commi 1 e 10 dell’art. 165 del TUIR.
Tuttavia, il passaggio del Commentario indicato sopra sembra riferirsi in particolare al comma 1 dell’art. 165 del TUIR, per il quale le imposte sui redditi estere possono essere detratte in base alla proporzione tra reddito prodotto all’estero e reddito complessivo prodotto in Italia; la decurtazione dell’imposta in presenza di un reddito che concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo è invece stabilita dal successivo comma 10, che non sembra recepito dalla Convenzione tra Italia e Francia e nemmeno oggetto del passaggio del Commentario OCSE indicato dalla risposta n. 101/2025.
Al riguardo, si deve anche considerare che il Trattato con la Francia è stato ratificato dalla L. 7 gennaio 1992 n. 20, mentre l’art. 165 comma 10 del TUIR è stato introdotto a decorrere dal 2004 dal DLgs. 344/2003 in coerenza con i sistemi di esclusione o di esenzione per i dividendi e per le plusvalenze su partecipazioni, pur se esso recepisce una prassi dell’Amministrazione italiana che risale al “vecchio” art. 96-bis del TUIR sui dividendi “madre-figlia” ante 2004.
Anche se l’Agenzia delle Entrate rimarrà presumibilmente ferma nella “difesa” della detrazione parziale, il tema continuerà probabilmente a porsi, anche alla luce della circostanza (debitamente evidenziata dall’istante) per cui la previsione del riconoscimento pro rata del credito sull’imposta pagata all’estero si rinviene in Trattati stipulati dall’Italia in epoca più recente (si pensi ad esempio alle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate con Cipro, Panama e Monaco, le quali prevedono espressamente la decurtazione secondo un meccanismo analogo a quello stabilito dal comma 10 dell’art. 165 del TUIR) e ciò renderebbe manifesta la consapevolezza dell’Italia di non poterla applicare in relazione ai Trattati più risalenti, in cui la stessa è assente.
Resta poi un ulteriore problema, non affrontato dalla risposta. Si tende, infatti, ad ammettere, anche in relazione ai Trattati che non contemplano uno scomputo pro rata, che la detrazione assoggettata alla falcidia dell’art. 165 comma 10 possa giustificarsi in relazione alle casistiche in cui l’altro Stato preleva l’imposta sulla totalità del reddito, in modo tale da non portare a un ingiustificato beneficio in capo al socio residente.
Nel caso di specie, invece, la normativa francese esenta l’88% della plusvalenza realizzata, per cui la falcidia avrebbe minori giustificazioni sistematiche: non sarebbe, infatti, coerente riconoscere un credito d’imposta pari al solo 5% dell’imposta effettivamente pagata quando anche la medesima viene applicata dall’altro Stato solo su una parte del provento imponibile.
Il caso dei rapporti con la Francia, peraltro, sarebbe in questo contesto peculiare, poiché si sarebbe in presenza non di un reddito tassato in misura piena oltreconfine ma parziale in Italia, bensì di un provento caratterizzato da percentuali di esenzione diverse nei due Stati.
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