La Commissione prova a chiarire la tassonomia per le imprese


C’è tempo fino al 26 marzo per aderire alla consultazione pubblica lanciata dalla Commissione europea sugli atti delegati in materia di tassonomia, allo scopo di realizzare delle modifiche volte a semplificare la rendicontazione e a renderla più conveniente per le aziende. Questa iniziativa accompagna il pacchetto di semplificazione Omnibus sul reporting di sostenibilità – vale a dire la divulgazione di informazioni sulla performance non finanziaria a soggetti esterni alle imprese – e la due diligence – cioè le attività atte a prevenire, mitigare o ridurre al minimo gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente che potrebbero generarsi nelle attività che svolgono e nelle catene del valore a cui partecipano.

Nell’ambito del discusso decreto Omnibus, dunque, lo scopo della commissione è di rendere questi obblighi per le aziende “più semplici e più convenienti”, in modo da rendere “più flessibili determinati requisiti e riducendo la quantità di dati da fornire. L’iniziativa mira a contribuire a bilanciare gli obiettivi ambientali dell’UE con la competitività delle imprese”. Si tratta, insomma, di una mano tesa alle imprese che durante la prima Commissione guidata da Ursula von der Leyen (2019-2024) hanno lamentato un carico eccessivo di pastoie burocratiche, con conseguente perdita di competitività. In particolare saranno modificati la Taxonomy Disclosures, il Taxonomy Climate Delegated Act e il Taxonomy Environmental Delegated Act.

Dall’apertura della consultazione, avvenuta il 26 febbraio, sono numerosi i commenti arrivati sul portale della Commissione da parte delle aziende che operano nei 27 Stati membri dell’UE. Per quasi tutti questa messa in discussione dell’operato precedente è una boccata d’ossigeno. Ma c’è chi la contesta. Come nel caso di una società tedesca di consulenza ESG (i criteri ambientali, sociali e di governance) secondo la quale “questo avanti e indietro crea una completa incertezza per le aziende. Molte organizzazioni hanno già investito enormi quantità, e ora sarebbero punite per voler pianificare in anticipo, proteggere l’ambiente e creare trasparenza? La CSRD (la direttiva sul reporting di sostenibilità delle imprese, nda) stabilirebbe infine condizioni di parità tra le imprese che agiscono e quelle che non fanno nulla per l’ambiente, entrambe condividerebbero la responsabilità”.

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Le nuove FAQ sulla tassonomia

Ad appena tre mesi di distanza dai precedenti chiarimenti, nel frattempo la Commissione ha da poco lanciato le nuove FAQ (Frequently Asked Questions). Segno evidente che la complessità delle disposizioni della Commissione – integrate poi da varie comunicazioni e vari avvisi – ha creato parecchie difficoltà alle imprese. Quel che è certo è che sono passati ben 7 anni da quando nel piano d’azione sul finanziamento della crescita sostenibile la Commissione si è impegnata a istituire un chiaro sistema di classificazione europeo  – o tassonomia dell’UE – per attività economiche sostenibili al fine di creare un linguaggio comune per tutti gli attori del sistema finanziario. 

Le domande generali alle quali la Commissioni prova a rispondere, e che si possono consultare qui, sono ben 155. Alcune domande sono state evidentemente stilate su spunto dell’Italia, come quelle sulle correlazioni tra la valutazione di impatto ambientale e i criteri DNSH (Do Not Significant Harm – il principio del “non arrecare un danno significativo”, introdotto dal PNRR). C’è poi la “sezione V” com le domande relative all’obiettivo della transizione verso l’economia circolare. Tra la trentina di specifiche domande segnaliamo quella relativa ai RAEE e più precisamente del collegamento tra ciò che è previsto dalla direttiva sui RAEE e le nuove richieste introdotte con la tassonomia, dove si introduce il criterio di contribuzione sostanziale per la “fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche”.

tassonomia 2

La Commissione spiega che “la direttiva sui RAEE impone che i rifiuti provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) provenienti da nuclei domestici (prodotti di consumo) siano disponibili al pubblico in modo che i consumatori possano restituire tali rifiuti almeno gratuitamente. Gli Stati membri devono garantire la disponibilità e l’accessibilità delle strutture di raccolta necessarie, tenendo conto, in particolare della densità della popolazione. I rifiuti da AEE che possono essere utilizzati sia dalle famiglie che dagli utenti diversi dalle famiglie private devono in ogni caso essere considerati RAEE da famiglie private. Si applica pertanto l’obbligo di disporre di impianti di raccolta a disposizione del pubblico. Tuttavia, nel caso di RAEE diversi dai RAEE da abitazioni private (prodotti B2B), non vi è alcun obbligo per gli impianti di raccolta disponibili al pubblico. Per i rifiuti provenienti da prodotti B2B, i loro produttori o terzi che agiscono per loro conto devono prevedere la raccolta di tali rifiuti”.

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